Trattare di lavoro e bellezza in questo periodo potrebbe sembrare paradossale. O un azzardo.

Veniamo da un anno e mezzo di grande sofferenza anche per il mondo del lavoro. Il Covid ha colpito duro: tanti lavoratori hanno perso il lavoro o, per lunghi periodi, ne sono rimasti senza. Ora, a livello statistico, i numeri ci dicono che stiamo recuperando (e non poteva essere altrimenti) ma non abbiamo ancora raggiunto i livelli ante Covid. E gravi crisi aziendali rimangono ancora aperte o si sono chiuse in maniera negativa; per citarne solo alcune di quelle che hanno “agitato” l’estate, da quella della Gkn di Campi Bisenzio a quella della Whirpool di Napoli, dalla vicenda Timken di Villa Carcina, che sta avendo un’evoluzione parzialmente positiva, alla ventilata chiusura della Gianetti Ruote Fad Wheels di Ceriano Laghetto ma che riguarda, ancora una volta, anche il nostro territorio.

Senza contare che già prima della pandemia, il mondo del lavoro scontava gravi e profonde problematiche.

E cosa dire della piaga infinita degli infortuni e delle morti sul lavoro? A fine luglio 2021 si contavano già 677 morti, mentre gli infortuni erano aumentati dell’8,3%. Eppure siamo dotati di una delle legislazioni più serie e avanzate che, però, spesso viene aggirata, elusa o disattesa e, a volte, trascurata o non attentamente osservata.

Il quadro sembra ineluttabilmente negativo e di bellezza nel lavoro pare difficile trovare traccia. A fronte di un quadro che sembra talmente fosco e negativo, la realtà è più complessa e variopinta. Sappiamo che in tutti i periodi, in ogni persona, in tutti i lavori si può riscontrare la dinamica alienazione/liberazione del lavoro, propria anche del messaggio biblico, come ben indicato dal cardinal Martini (Colloquio sulla parrocchia, agosto 1980): nella Genesi (2,2-3) il lavoro di Dio è presentato come modello ideale dell’esperienza del lavoro umano. L’uomo che porta a termine la sua settimana lavorativa e si riposa, agisce a imitazione di Dio. E Dio lavora con soddisfazione, “vide che era cosa buona…”, ne riceve gusto e contentezza.

Per un credente, per noi cristiani, il lavoro è anche bellezza, in quanto attuazione, partecipazione e completamento dell’opera di Dio. Papa Francesco, in continuità e nel solco della dottrina sociale della Chiesa, nella Laudato si’ (124) ci ricorda che “secondo il racconto biblico della creazione, Dio pose l’essere umano nel giardino appena creato (cfr Gen 2,15) non solo per prendersi cura dell’esistente (custodire), ma per lavorarvi affinché producesse frutti (coltivare). Così gli operai e gli artigiani «assicurano la creazione eterna» (Sir 38,34). In realtà, l’intervento umano che favorisce il prudente sviluppo del creato è il modo più adeguato di prendersene cura, perché implica il porsi come strumento di Dio per aiutare a far emergere le potenzialità che Egli stesso ha inscritto nelle cose: «Il Signore ha creato medicamenti dalla terra, l’uomo assennato non li disprezza» (Sir 38,4)”.

Sempre Papa Francesco, nel discorso che tenne alle Acli in occasione dell’udienza privata del 23 maggio 2015, ci indica una via da percorrere per coniugare bellezza e lavoro: “vi invito a realizzare un sogno che vola più in alto. Dobbiamo far sì che, attraverso il lavoro – il «lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale» (Evangelii gaudium, 192) – l’essere umano esprima e accresca la dignità della propria vita.

Parole, queste, che, laicamente, ci riportano alla nostra Costituzione, fondata sul lavoro: il lavoro viene considerato un momento fondamentale di realizzazione della persona umana ma, in una duplice veste, è anche un’attività alla quale il cittadino è chiamato per contribuire al “progresso materiale e spirituale della società”. Si sono immesse nella vita del Paese, in maniera piena e totale, le classi lavoratrici, per troppo tempo tenute ai margini ed estromesse dagli ambiti istituzionali e politici e dall’organizzazione economica e sociale.