Il meccanismo – che non ci è mai piaciuto – dell’attuale legge elettorale ha fornito al Paese una maggioranza parlamentare chiara e solida. Scelte difficili attendono il governo di destra-centro che è uscito dalle urne. La guerra in Ucraina, la crisi energetica ed economica, la questione sociale dell’equità, la sfida ambientale e demografica. Senza dimenticare la valorizzazione dei giovani, in particolare in relazione al tema del lavoro.

A questo proposito, la campagna elettorale ha lasciato in eredità un dibattito surreale tra sostenitori del reddito di cittadinanza “senza se e senza ma”- con plebisciti di consenso nel Mezzogiorno – e fautori di un maggiore bilanciamento verso l’occupabilità delle persone, con il rilancio delle politiche attive. Il furore ideologico è arrivato al punto da dimenticare che la nostra è una “Repubblica fondata sul lavoro”, come recita l’articolo 1 della Costituzione, e non una ipotetica Repubblica fondata sul sussidio. Nelle pagine che seguono, dedicate alle grandi trasformazioni del mondo del lavoro, il professor Michele Faioli, uno dei più acuti giuslavoristi del nostro Paese, ci aiuta a dipanare questi nodi. Anche alla luce di un principio più volte ribadito da papa Francesco: è il lavoro che dà dignità, non il sussidio.

Come spiega brillantemente il professore dell’Università Cattolica, la sfida per il nostro Paese è equivalente, per il lavoro, a quella che il medico di base e la sanità territoriale rappresentano per il sistema sanitario. L’obiettivo è trasformare i Centri per l’impiego in ciò che, per la sanità, sono i centri di prima cura, le cosiddette “case della salute”. È una pista di lavoro molto concreta per le Acli bresciane: chiedere di investire, uscendo dalla metafora sanitaria, in “case del lavoro”, dove aiutare i giovani a capire come va il mondo professionale attraverso colloqui e visite guidate sui posti di lavoro. È una prima mossa “politica”, nel senso più pieno, che può orientare e tradurre, nel tempo che cambia, una delle tre grandi fedeltà della nostra associazione.

L’altra sfida, cui siamo chiamati a rispondere in termini di comprensione, attenzione e pressione politica, è quella del mismatch che si è creato negli ultimi anni tra domanda e offerta di lavoro, rispetto a cui il governo dovrà offrire risposte concrete. La nostra cura associativa dovrà sintonizzarsi su due lunghezze d’onda.

Una prima questione politica, legata al mancato incontro tra domanda e offerta di lavoro, ha a che fare con profili non necessariamente molto qualificati: Faioli fa l’esempio di magazzinieri della logistica e camionisti. È un assaggio del grande problema demografico che già si intravede in questi settori, ma che esploderà nei prossimi dieci-quindici anni. E che ha molto a che fare con i flussi di lavoratori dall’estero, sempre meno provenienti dall’Europa orientale e sempre più dall’Africa. Ma, alla Bossi-Fini, una legge del 2002, nessuno ha messo ancora mano, impedendo di fatto flussi di ingresso normali. È plausibile pensare che il governo Meloni-Salvini, eredi dei due padri del famigerato provvedimento, possa invertire la rotta?

La seconda questione è, come dice il giuslavorista della Cattolica, il problema serio del mismatch dei giovani. Secondo Faioli, «né le istituzioni scolastiche e universitarie, né la famiglia, né le parrocchie, né il terzo settore, né le associazioni, né i sindacati riescono ad aiutarli a discernere il proprio talento». Non possiamo esimerci dal fare a nostra parte. Con tutta la passione e la creatività di cui siamo capaci.