Problemi globali, risposte locali

È possibile che ancora oggi ci sia ancora chi muore di fame e di sete? Chi vive in condizioni di analfabetismo? Chi manca delle cure mediche primarie? Chi non ha una casa? Chi non accede all’acqua potabile? Chi è minacciato da guerre civili? Eppure questo scenario si allarga ulteriormente se alle vecchie povertà aggiungiamo quelle nuove: le fragilità sociali ed economiche dovute alle pandemie, alle dipendenze, all’emarginazione, all’abbandono in età avanzata, alla perdita del lavoro.

Sono questioni aperte che ci riguardano da vicino, perché è caduto il muro che separava il qui dall’altrove. “Pensare globale, agire locale” non è solo un bello slogan, reso famoso da una canzone dei Modena City Ramblers o dalle teorie del “Think global, act lo­­” di sociologi come Patrick Geddes, Roland Robertson e Zygmunt Bauman. È una sfida vitale.

Think global, act local

Lo spiegano anche due testimoni più vicini a noi, convinti fautori di una prospettiva glocale, intesa come la crescente interdipendenza tra effetti del globale e ricadute nel locale (e viceversa). Per Piero Bassetti, primo presidente della Regione Lombardia, il “glocalismo” non è tanto un corpo di idee compiute, quanto piuttosto un punto di vista, un approccio, un metodo, come emerge anche da Brescia e la sfida glocale, il volume curato, tra gli altri, da Valerio Corradi, in collaborazione con l’Associazione Globus et Locus.

Emilio Del Bono, nell’intervista a Battaglie sociali 3-2022 e, ancor di più, nel corso della Fest’Acli dell’estate scorsa, spiegava come spesso le risposte più efficaci alle grandi sfide globali ed epocali legate al cambiamento d’epoca siano quelle collocate a livello territoriale. Per affrontare pandemia, guerra, crisi economica, rischio climatico, transizione ecologica, questione migratoria, insieme alle risposte planetarie servono soluzioni locali, come la mobilità sostenibile, la lotta all’inquinamento, le comunità energetiche, la rimozione degli ostacoli burocratici alle rinnovabili, tanto per citarne alcune.

Per essere concreti: il Comune di Brescia affronterà da protagonista la sfida dei cambiamenti climatici attraverso il Piano d’azione per l’energia sostenibile e il Clima (Paesc) con cui si è impegnato a ridurre le emissioni di CO2 pro-capite del 50% entro il 2030. Ha adottato, inoltre, la Strategia di transizione climatica “Progetto Un filo naturale”, con cui sono stati definiti ambiziosi obiettivi da perseguire attraverso un Piano di mitigazione per ridurre le emissioni atmosferiche e aumentare le capacità di assorbimento di tali gas attraverso l’incremento del capitale naturale e un Piano di adattamento che prevede un ruolo attivo dei cittadini.

Abitiamo una città se strade, piazze, parchi, fiumi, valli, boschi e ogni parte del paesaggio suscitano in noi desiderio di conoscenza e di cura. Se abbandono una casa, un campo, un bosco, se non me ne preoccupo per anni non posso poi incolpare altri del degrado. Pensiamo a che cos’è successo nelle Marche, prima, e a Ischia, più recentemente. La cura di un bene privato e pubblico, insieme, e perciò comune, presuppone il principio universale di un corretto uso del territorio.

La lezione di don Lorenzo Milani

In chiave politica significa assumere una responsabilità, occuparsi degli altri, condividere con loro un problema che è il tuo e il mio e, quindi, il nostro. «Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è politica. Sortirne da soli è avarizia» scriveva don Lorenzo Milani con i suoi ragazzi in Lettera a una professoressa. Ma anche nella Lettera ai cappellani militari diceva: «Su una parete della nostra scuola c’è scritto grande: I Care. È il motto intraducibile dei giovani americani migliori. “Me ne importa, mi sta a cuore”. È il contrario esatto del motto fascista “Me ne frego”». Una frase che papa Francesco, poco tempo fa, ha riconsegnato, senza citare la fonte, ai giovani di Azione Cattolica riuniti a Roma.

La straordinaria modernità dell’intuizione di don Milani sta nell’aver indicato la strada per superare la crisi, per rispondere alle ingiustizie e ridurre le disuguaglianze. Una pista da seguire anche nel post-globalizzazione. In tempi di grande difficoltà bisogna riavvicinare persone, popoli, comunità, che si sono lacerati nella miseria e nella povertà. Altre volte nello spreco compulsivo e nell’indifferenza.

Don Milani puntava a formare le coscienze prima delle competenze, ispirato a un’idea inclusiva dei territori. È necessario progettare istituzioni “capacitanti”, finalizzate a promuovere e far sviluppare le naturali tendenze alla cooperazione e alla pro-socialità insite, più o meno profondamente, in ciascuno di noi. L’«Antropocene» – il tempo storico che viviamo, in cui l’agire umano è diventato l’elemento determinante del cambiamento del Pianeta – chiede lungimiranza. Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a chi verrà dopo di noi? Sappiamo coltivare un’umanità capace di guardare avanti e di costruire relazioni sostenibili? Un’umanità solidale, capace di modulare le proprie forme di vita alla responsabilità verso gli altri, incluse le prossime generazioni?

La strada della conversione ecologica

Dobbiamo cambiare rotta, imboccando quella che Francesco chiama “conversione ecologica”. La prospettiva dell’ecologia integrale, che porta alla luce la stretta relazione tra i molteplici sistemi e chiede di mettere in connessione le singole parti tra di loro e con il tutto, diventa il paradigma per tenere insieme fenomeni e problemi ambientali con questioni che normalmente non sono associate all’agenda ecologica, come la povertà, le disuguaglianze, le migrazioni.

Come si può avviare il processo di cura verso la città, come possiamo riabitarla in salute coinvolgendo i cittadini? Dobbiamo tornare a creare un rapporto autentico, riconoscendoci nello spazio, nei luoghi, nei territori. Una piccola ricetta per una politica glocale? Non essere avari di relazioni. Rimettere al centro la società civile e i corpi intermedi, secondo il principio di sussidiarietà. Solo da aggregazioni di persone che condividono problemi, riflettono, si informano e, soprattutto, hanno a cuore e hanno cura, possono rinascere e crescere passione e sensibilità politica.