Anche i ricchi (lombardi) piangono

In quest’epoca, ancora di più del passato, una componente fondamentale della disuguaglianza è la diversa opportunità di accesso a un lavoro dignitoso, che possa valorizzare la persona. Il lavoro è legato al reddito e quindi alla possibilità di uscire dalla povertà e di poter ambire a retribuzioni più alte e migliori, così come alla possibilità di usufruire di strumenti di tutela dei diritti del lavoro.

Come afferma Papa Francesco il lavoro è uno degli elementi fondanti la dignità umana.

La povertà, intesa come condizione di disagio e di disuguaglianza, nonché di privazione o di grave menomazione di diritti fondamentali, è un fenomeno antico, ma sempre più attuale e socialmente grave. Nel corso degli anni, la povertà si è trasformata addirittura evolvendosi e assumendo, oggi più di ieri, un carattere multiforme e pluridimensionale, perché è espressione di un processo articolato.

L’ambito di intervento pubblico, tenuto conto di un percorso storico dell’ordinamento e dei singoli settori di intervento, ricomprende dall’assistenza sociale alla sanità, dall’istruzione alla previdenza, dall’avviamento al lavoro all’edilizia residenziale pubblica, sino a giungere ai più recenti provvedimenti normativi specifici, tra cui le diverse misure di sostegno al reddito, senza tralasciare il livello europeo e internazionale. Le informazioni sulla povertà diffuse ogni anno dall’Istat e le analisi elaborate da diversi centri di ricerca in merito all’indagine sull’esclusione sociale, documentano da tempo una situazione paradossale: la disoccupazione è una causa certa di impoverimento, la più importante, ma non basta avere un lavoro per essere al riparo dalla povertà.

Molti lavoratori percepiscono un basso salario e ingrossano le file dei poveri. Questo fenomeno ha una lunga storia nel nostro Paese, come già illustra l’inchiesta parlamentare sulla miseria del 1951-53. A fare le spese dei cambiamenti in corso nella distribuzione dei redditi sono principalmente le famiglie giovani, che negli ultimi vent’anni hanno visto ridursi disponibilità economiche e consumi, anche per l’aumento del carico fiscale e previdenziale. A rischio povertà sono anche molti immigrati di prima generazione, attivamente inseriti nel mercato del lavoro.

Il contrasto della povertà richiede l’intervento non solo della leva redistributiva e di strumenti di minimo vitale, ma anche di nuove reti organizzative tra i servizi socio-assistenziali e il terzo settore. L’emergenza pandemica, che ha messo a dura prova il sistema di welfare lombardo, induce effetti economici e sociali che potrebbero aumentare i rischi di povertà ed esclusione, nonostante un sistema regionale tradizionalmente resiliente.

Tutto ciò è avvenuto in un contesto in cui prima della pandemia nel 2019 secondo l’ultimo Rapporto Polis Lombardia, oltre 250.000 famiglie lombarde si trovavano in condizione di povertà assoluta, e nel 2020 l’incidenza della povertà relativa (Report Istat), che indica le persone a maggior rischio di esclusione sociale, era pari al 6,7% della popolazione lombarda. Numeri tendenzialmente in costante crescita soprattutto tra le famiglie numerose, con almeno due figli minori e straniere. Secondo i recenti dati Inps gennaio-agosto 2021 (Osservatorio su Reddito e Pensione di cittadinanza) i nuclei famigliari beneficiari in Lombardia di almeno una mensilità di Rdc/Pdc e Rem sono stati 147.898 rispetto ai 144.316 della scorsa annualità, ai quali si aggiungono i 61.905 beneficiari del REM per un numero totale di persone coinvolte rispettivamente pari a 302.611 e 135.709. Questi dati rilevano una marcata crescita dei destinatari della principale misura di contrasto alla povertà.

La crisi economica-sociale ha reso più difficile per i genitori la gestione della prima fase del ciclo di vita familiare dei minori.

Gli ultimi dati pubblicati dal Banco alimentare (Bilancio sociale 2020) evidenziano un dato preoccupante considerato che nel 2020 il 24,3% dei loro assistiti sono stati minori. Dal rapporto di valutazione delle politiche di contrasto alla povertà commissionato dal Consiglio Regionale e da quello di Polis sul Reddito di Cittadinanza in Lombardia, emerge una debolezza nella individuazione da parte della Regione degli indirizzi necessari agli attori territoriali finalizzati a realizzare una adeguata integrazione tra servizi per il lavoro e sociali, e a rinforzare l’équipe multidisciplinari. In questa ottica le criticità rilevate rendono debole il sistema di governance locale.

Nel Piano nazionale di Ripresa e Resilienza sono previsti investimenti in attività di upskilling, reskilling e life-long learning, che mirano a far ripartire la crescita della produttività o migliorare la competitività delle PMI e delle microimprese italiane. La formazione delle competenze, in particolare quelle digitali, tecniche e scientifiche, ha lo scopo di migliorare la mobilità dei lavoratori e fornire loro le capacità di raccogliere le future sfide del mercato del lavoro. È prevista l’introduzione di una riforma organica e integrata in materia di politiche attive e formazione, nonché misure specifiche per favorire l’occupazione giovanile, attraverso l’apprendistato duale, che unisca formazione e lavoro, e il servizio civile universale.

Emergono le carenze del sistema, sottolineando come la situazione vigente si caratterizzi per la parcellizzazione, la frammentarietà e la confusione delle decisioni. In prospettiva, si evidenzia la necessità di un contemperamento tra la dimensione pubblica e il ruolo del terzo settore e dei privati, a maggior ragione in un momento di particolare crisi economica, che può rappresentare un’occasione per migliorare il sistema, realizzando un nuovo modello di governo che abbia come scopo quello di non escludere nessuno.