L’idea di porre le città al centro della vita culturale europea ha funzionato, sia in termini di comunicazione che di flussi turistici. Nel 1986 è toccato a Firenze, poi Amsterdam, Berlino, Parigi, Dublino, Madrid, Glasgow, Lisbona, Stoccolma, Copenaghen, Liverpool, eccetera. Le città europee facevano a gara per ottenere l’assegnazione del riconoscimento. Era un’occasione per valorizzare il brand cittadino e al tempo stesso di avviare percorsi di rigenerazione urbana: era turismo e vivibilità, ovvero un possibile futuro per le città post industriali. Il titolo divenne successivamente “Capitale europea della cultura” e dal 1985 è stato assegnato a circa sessanta città: dal 2001 sono due all’anno.

“Lacultura, l’arte e la creatività non sono meno importanti della tecnologia, del commercio e dell’economia”.Con queste parole Melina Mercouri, cantante e attrice greca, Palma d’oro a Cannes nel 1960 e ministro della Cultura negli anni ottanta, ha salutato l’assegnazione ad Atene del primo titolo di “Città europea della cultura”. Era il 1985 e si iniziava a intuire che il mercato del “turismo culturale” era destinato a crescere grazie alla globalizzazione e ai voli a basso costo che avrebbero fatto nascere uno spazio per l’offerta di nuove mete: e cosa c’era di meglio delle città europee, ricche di monumenti, di musei, di tradizioni e di storia, ma anche di capacità ricettiva? L’idea di porre le città al centro della vita culturale europea ha funzionato, sia in termini di comunicazione che di flussi turistici. Nel 1986 è toccato a Firenze, poi Amsterdam, Berlino, Parigi, Dublino, Madrid, Glasgow, Lisbona, Stoccolma, Copenaghen, Liverpool, eccetera. Le città europee facevano a gara per ottenere l’assegnazione del riconoscimento. Era un’occasione per valorizzare il brand cittadino e al tempo stesso di avviare percorsi di rigenerazione urbana: era turismo e vivibilità, ovvero un possibile futuro per le città post industriali. Il titolo divenne successivamente “Capitale europea della cultura” e dal 1985 è stato assegnato a circa sessanta città: dal 2001 sono due all’anno. Nel 2019 il riconoscimento è andato a Matera: la prossima assegnazione per il nostro paese sarà nel 2033, perché per evitare concorsi sovraffollati si è decisa una turnazione fra gli stati dell’Unione. Il successo ha portato a un’analoga iniziativa nel sud America e ad altre varianti, fra cui la “Capitale italiana della cultura”, nata nel 2014 per iniziativa del MIBACT. Per il nostro paese si tratta quindi di un’idea recente: nel 2015 si sperimenta con 5 “capitali” e dall’anno successivo ne viene selezionata una: Mantova (2016), Pistoia (2017), Palermo (2018), Matera (2019, in quanto capitale europea), Parma (2020, confermata anche per il 2021 a causa della pandemia). La procedura per la selezione relativa al 2022 è in corso (28 le candidature presentate).

Per il 2023 il riconoscimento, anche sull’onda dell’emozione e in segno di partecipazione al dramma vissuto dalle due città nella primavera di quest’anno, è stato assegnato a Bergamo e Brescia. Per la nostra città è un’opportunità importante, che richiede però una grande attenzione perché ci sono aspetti che possono rivelarsi critici, a partire dall’incognita su quali saranno i comportamenti delle persone nell’ancora incerta era post Covid. La scelta di essere un centro culturale importante si sostiene con i flussi turistici, e al momento nessuno riesce a immaginare come si riprenderà il turismo culturale dopo l’emergenza. I risultati ottenuti dalle città che ci hanno preceduto sembrano incoraggianti: i rapporti relativi a Mantova e Pistoia rilevano flussi turistici in crescita sia nell’anno di “nomina” sia negli anni successivi, con ritorni economici interessanti anche se non travolgenti, e qualche voce discorde. E il fatto che ci siano numerose città che si candidano per questo titolo tutto sommato transitorio e impreciso (in fondo sia “capitale” sia “cultura” sono termini che possono essere variamente interpretati) significa che molti amministratori ritengono che un progetto culturale con una ampia visibilità nazionale rappresenti una opportunità da cogliere.

L’aspetto finanziario

Un altro aspetto riguarda il tema finanziario: il contributo annuale del ministero è stato finora di un milione di euro. Tenuto conto che andrebbero coinvolte anche le due province, si tratterebbe di una cifra relativamente modesta, quindi sarà necessario raccogliere localmente un capitale più consistente, che consenta interventi e iniziative più rilevanti sia in termini di offerta culturale sia di rigenerazione urbana. Quali saranno le azioni concrete sarà oggetto di una progettazione che lasciamo volentieri ai numerosi esperti qualificati delle due città. Quel che possiamo suggerire è di tenere presente alcuni fattori di successo già evidenziati dai documenti della commissione europea:

  • Individuare e comunicare un’idea di fondo, una visione chiara di come vorremmo fosse percepita la città, rispondendo sinceramente alla domanda “Perché un turista dovrebbe voler visitare Brescia?”;
  • Pensare a lungo termine: il progetto del 2023 dovrebbe essere parte di un piano strategico riguardante il posizionamento culturale della città nel lungo periodo;
  • Coinvolgere e impegnare i cittadini, le associazioni, la società civile, le istituzioni culturali e le realtà economiche, mantenendo una forte condivisione sull’iniziativa;
  • In sede di realizzazione, ottenere un forte supporto politico trasversale, evitando che il programma possa essere percepito come “di parte” (non è scontato, il 2023 è anno di elezioni amministrative), salvaguardando al tempo stesso l’autonomia dei responsabili del progetto;
  • Predisporre una chiara e forte strategia di comunicazione.

Non sarà facile, ma è una sfida affascinante. Brescia e Bergamo sono città con una grande tradizione in campo economico, sociale e politico, e questa caratterizzazione ha certamente inciso sulla loro immagine: quando si pensa alla provincia di Brescia si pensa prima al lavoro che alla cultura. Detto in positivo: il lavoro è una grande parte della nostra cultura. Ma Brescia è anche altro, e se finora è stata una città in cui il turista non si ferma più di un giorno, l’idea è trasformarla in una realtà più attraente. Perché noi bresciani sappiamo bene che il modello della grande città, della concentrazione urbana, della megalopoli, insomma di Milano, non è l’unico né il migliore.

AUTORE

Stefano Dioni

CATEGORIA

Europa, cultura e società

PUBBLICATO IL

14 dicembre 2020

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