La rigenerazione urbana che dà speranza
“Ospedale di comunità, welfare di comunità, comunità generativa…ecc”, abbondano le “comunità” messe in fila dalle tendenze del momento, a pieno titolo nel circo del quotidiano affannarsi, tanto che ai più sfugge, anche solo etimologicamente, la reale pregnanza della questione in essere. Ma c’è di più, negli ultimi anni si fanno strada riletture d’antan imbevute di nostalgia, valori, semiotiche alla spicciolata che arrivano a defraudare la pienezza del termine, la sua vitale complessità, la sua inafferrabilità. Che sfide impervie da compiere e che bocconi amari dovremo ancora ingerire prima di raccapezzarci. Una ricetta che richiederebbe ingredienti semplici, genuini, la leggiamo invece ogni giorno colma di sapori indefinibili, nella più nauseabonda massificazione indiscriminata.
Cosa può salvare le comunità dalla bruttezza? Come districarci? Potremo ad esempio cominciare a pensare che ognuno di noi può essere una parte importante della soluzione, anche solo focalizzandoci sulle brutture da estirpare, dentro le comunità e grazie alle diverse comunità. “Diversità e bellezza” possono allora salvarci dalla perdizione “dei 110” e farci capire che probabilmente non dovremmo credere così fideisticamente alla “sostenibilità passe-partout”; ogni tanto ci si può imbattere in qualche nefandezza “green” così come nei nostri report di sostenibilità sempre pronti a “compensare emissioni” e mai a ridurle. E allora che fare. La memoria di un amministratore locale è molto di più di quella di un elefante; la burocrazia avversata lo ha reso più avido di innovazione e amante di termini quali “riqualificazione”, “ripopolazione” “rigenerazione”. Nel corso degli ultimi decenni il dibattito sullo sviluppo urbano si è focalizzato su dinamiche volte a ridare un valore ed un significato urbanistico, sociale ed economico ai centri cittadini. Questa tendenza si sta diffondendo anche nel nostro paese dove sempre più prende piede il concetto di “rigenerazione urbana”. Rigenerare un centro cittadino significa pensare alle città come a degli ecosistemi funzionali, ogni luogo come centro di relazioni economiche, sociali e organizzative, un luogo delle istituzioni, delle imprese, delle associazioni, dei singoli cittadini. Rigenerare in questo senso significa non solo tutelare e recuperare un patrimonio edilizio, ma anche, e soprattutto, intervenire sul tessuto sociale, culturale e ambientale. È inevitabile dunque che certi modelli di sviluppo siano da ritenersi obsoleti e che le città, rispetto ai centri più piccoli, siano più inclini all’innovazione. I centri più piccoli, sono forse quelli che più hanno bisogno di attivare dinamiche di valorizzazione del territorio e attrarre nuove tipologie di residenti (non solo da considerarsi come abitanti in più).
Proviamo a dettare alcune righe di una nuova ricetta: migliorare il sistema di governance attraverso una strategia condivisa per la gestione dei centri storici, ridurre la distanza tra regolamenti, responsabilità e adempimenti; sviluppare strumenti che aiutino gli attori a implementare la strategia (piani di azione, strumenti ICT, ecc.); incoraggiare la creazione di staff cooperativi che indichino le strategie necessarie affinché le analisi di governance (a tutti i livelli) combacino il più possibile. Il tema della governance è sempre una questione complessa e che comporta relazioni tra enti e soggetti diversi; conservare e valorizzare il patrimonio storico è costoso, comporta fatica, rinunce, concertazione di visioni di pensiero eterogenee e talvolta persino discordanti. Dalla conservazione al management corre un dibattito gestionale che scardina le granitiche convinzioni circa la sostenibilità nei centri storici, così come le sfide energetiche si impongono in termini di scontro fra due estremi: tutela del patrimonio storico e culturale oppure efficientamento energetico? Per ora fermiamoci qui.
Non basterà che noi si salvi la bellezza del mondo parafrasando Settis o prima ancora scimmiottando Dostoevskij. Potremmo, per cominciare in punta di piedi, badare a ogni campo pieno di pannelli fotovoltaici e chiederci se sia veramente necessario tutto questo. Potremmo, ad esempio, riscoprire la communitas come luogo non liquido ma reale, che pone rimedio alle nostro ansie e che ci dice una volta per tutte: “questa è casa tua, trattala bene”.
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