Prima che il COVID cambiasse le priorità della politica, la giovane Greta Thunberg interveniva alle Nazioni Unite rimproverando aspramente i potenti della terra per la devastazione ambientale che sta causando cambiamenti climatici planetari che mettono a rischio il futuro dell’umanità. Di fronte a quanto sta accadendo sarebbe ragionevole attendersi un’azione forte e coesa da parte di tutti gli attori della politica internazionale per cercare di non peggiorare irreversibilmente la situazione, ma è opinione diffusa che quanto si sta facendo sia ancora troppo poco. Una ragione è che il mondo non è come lo immagina l’attivista svedese, le Nazioni Unite non sono affatto unite e anzi sono in perenne conflitto fra di loro, e i potenti della terra possono decidere ben poco perché i meccanismi sociali ed economici che ci hanno condotto all’attuale condizione sono difficili da governare. Stiamo correndo un rischio enorme e non stiamo facendo abbastanza per ridurlo. Alok Sharma, il politico inglese che presiede la conferenza ONU sui cambiamenti climatici che si terrà nel novembre 2021 a Glasgow (COP26), ritiene che nel mondo stia accadendo qualcosa di importante, perché il tema del cambiamento climatico è diventato centrale. Ma ammette che raggiungere l’obiettivo di limitare a 1,5 gradi l’aumento della temperatura media del pianeta è molto difficile, anche se è possibile.

Anche le persone non sempre sono in grado di valutare i rischi che corrono e agire di conseguenza. L’esempio attuale delle vaccinazioni COVID è a questo proposito piuttosto chiaro. I numeri dimostrano che i vaccini sono efficaci e sicuri, che riducono il rischio di contrarre la malattia e ne limitano gli effetti, proteggendo sia chi si vaccina sia chi non può farlo. Nonostante questo, alcuni hanno rimandato o rinunciato a vaccinarsi, per paura delle conseguenze o per altre ragioni spesso confuse. La scelta di non vaccinarsi appare irrazionale, perché i vantaggi del vaccino sono ampiamente superiori ai rischi sia di contrarre la malattia sia di diffonderla nelle persone che si frequentano. Quindi non dovrebbe esserci partita, invece una significativa minoranza ha fatto di tutto per evitare di fare la scelta più ragionevole. In altri termini, non ha valutato correttamente il rischio e ha scelto di correre il rischio più alto. Possiamo chiederci perché e concludere che in questo caso entrano in gioco paure ataviche e una informazione distorta. Oppure possiamo concludere che è così, che non sempre dobbiamo attenderci scelte razionali da parte di tutti, che c’è una vena di insensatezza negli esseri umani.

Se i rischi possono essere sottovalutati a livello individuale, lo sono a maggior ragione a livello dei popoli e delle nazioni. Anche se è ormai certo che stiamo provocando conseguenze disastrose sull’unico pianeta che abbiamo, la percezione della criticità e dell’urgenza non sembra sufficientemente diffusa. Certamente c’è una grande differenza fra la scelta di vaccinarsi, che è compiere un atto individuale e volontario tutto sommato piuttosto semplice, e azioni collettive globali come quelle necessarie a salvaguardare l’ecosistema. Anche se conosciamo le direzioni in cui è necessario muoversi, dalla riduzione della CO2 alla limitazione dell’uso della plastica, dal riciclo dei rifiuti alla salvaguardia di specie e foreste, dalla gestione dell’acqua al consumo del suolo, e molto altro, ci è difficile immaginare una nostra azione personale che possa essere decisiva. Eppure, il nostro impegno conta. Greta Thunberg si illude se pensa che ci siano dei “potenti” che decidono i destini dell’umanità. Ma non sbaglia nel pensare che l’unico modo per cambiare le cose che ciascuno di noi può concretamente attuare è impegnarsi perché cambino, anche se è difficile, anche se sembra sempre che non sia sufficiente. Impegnarsi significa molte cose: diffondere idee, convincere persone, essere testimoni, agire concretamente in ogni contesto a casa e al lavoro, creare strutture e organizzazioni, influenzare le scelte della politica e dell’economia. Fare il bene dove si è, semplicemente perché è giusto. Inutile sottolineare che a un aclista tutto questo non suona affatto strano.