Nel più famoso libro di Asimov i robot hanno spesso caratteristiche umane.

La realtà del mondo industriale, in cui i robot svolgono autonomamente intere fasi dei cicli produttivi, è un po’ diversa. Sono macchine che non ci assomigliano e la cui intelligenza “artificiale” è molto diversa dalla nostra. Ma sono spaventosamente efficienti. I progressi degli ultimi due decenni stanno cambiando il lavoro con una velocità e una profondità superiori a quella delle fasi storiche precedenti: ormai sappiamo che è in corso una nuova rivoluzione industriale. L’applicazione all’industria delle tecnologie informatiche ha prodotto dispositivi in grado di svolgere compiti di grande complessità con un limitato apporto umano. Che si tratti di isole robotizzate, di sistemi di movimentazione o di macchine per l’assemblaggio o per il collaudo, la caratteristica comune dei nuovi protagonisti dell’industria 4.0 è che non solo operano con accuratezza e precisione, ma sanno anche rilevare il contesto, raccogliere informazioni, elaborarle in tempi rapidi e prendere decisioni. In un certo senso, imparano, pensano e agiscono di conseguenza. Ma non è esattamente così: le macchine eseguono algoritmi e fanno quello per cui sono state programmate, ma l’effetto è straordinariamente vicino a un processo di analisi e decisione intelligente, e inoltre è veloce e continuo. Detto diversamente: nel mondo produttivo i robot sono molto più bravi di noi. E gli ambiti di applicazione della robotica sono davvero ampi, interessano tutti i settori industriali ma anche mondi assai diversi, dal sistema sanitario ai trasporti, dal tessile all’agricoltura. Le macchine pensanti del resto sono ovunque, sono nei nostri uffici e nelle nostre case, sono la nostra automobile che frena da sola o si accorge se siamo stanchi, sono gli strumenti e le connessioni che hanno azzerato le distanze e ci consentono di lavorare ovunque, sono le macchine che fabbricano i vestiti che indossiamo e gli infiniti oggetti della nostra vita quotidiana, sono le basi dati che ricordano tutto ciò che facciamo e decidono che tipo di consumatori siamo. 

Ma che cosa nascerà da questa divisione del lavoro fra uomini, macchine e algoritmi? Che ne è del lavoro e dei lavoratori?

Se dal punto di vista della professionalità progettare robot e gestirli nel processo produttivo richiede un’alta specializzazione, è evidente che l’automazione riduce il lavoro umano. Quindi andiamo verso “fabbriche” con più macchine e meno persone, anche se avremo lavoratori molto più preparati e lavori meno alienanti. L’effetto netto potrebbe essere una riduzione dei posti di lavoro, almeno secondo la previsione dell’World Economic Forum, che immagina cali significativi nei posti di lavoro mondiali. Che il progresso tecnologico modifichi il lavoro è naturale, è normale che nascano nuovi lavori, che alcuni lavori cambino ed altri scompaiono. È normale anche che i nuovi mezzi di produzione consentano di ottenere prodotti migliori impiegando meno lavoro umano: si chiama progresso. Ciò che non vogliamo è che la conseguenza siano licenziamenti, chiusure e minori posti di lavoro; vogliamo piuttosto fasi frequenti di formazione e di riconversione dei lavoratori e delle imprese. Lo scopo del progresso non è diminuire i posti di lavoro ma migliorare la qualità della vita. 

Quindi l’obiettivo vero, collettivo, è sfruttare la tecnologia per lavorare per meno tempo, a parità di produttività e quindi a parità di stipendio. Se il percorso per arrivare alla settimana di 40 ore su 5 giorni è durato decenni, robotica e intelligenza artificiale consentono ora di immaginare una ulteriore accelerazione, che deve essere però governata dalla politica, perché il mercato del lavoro non si regola da sé e non tutela i più deboli. Gli stessi sindacati devono prepararsi a rappresentare il mondo del lavoro in modo nuovo. Si tratta di creare contesti legislativi e normativi che vedano la riduzione del tempo di lavoro come un obiettivo sociale ragionevole e desiderabile. Non è impossibile, sta già accadendo: in Islanda si sta sperimentando la settimana lavorativa di 4 giorni, diversi paesi europei ci stanno pensando, e persino in Giappone ci si pone il problema della riduzione dell’orario lavorativo. Se sapremo governare la nuova rivoluzione industriale, faremo lavorare di più i nostri amici robot e saremo più liberi. Questo è un obiettivo che vale la pena di cercare di raggiungere: ha a che fare con la civiltà e persino con la felicità.