Nella società dell’informazione ciascuno di noi è quotidianamente bombardato da un flusso ininterrotto di notizie e commenti, ed è una moderna fatica cercare di distinguere le notizie vere da quelle false, e di dividere i fatti dalle opinioni. Quando poi si ha a che fare con eventi che occupano gran parte dei palinsesti televisivi e dei giornali, come già è accaduto con la pandemia e ora accade con la guerra, orientarsi può diventare un’impresa. Per fortuna esiste il mestiere (sempre più redditizio) dell’opinionista: per rendere più interessanti le maratone televisive dedicate al tema del momento, i bravi presentatori infatti alternano alla narrazione dei fatti, spesso di per sé monotona e angosciante, il confronto fra “esperti” di varia estrazione che sostengono, per l’appunto, le loro opinioni. E poiché per riuscire a trattenere il pubblico e fare pubblicità bisogna fare spettacolo, le opinioni devono essere varie e si devono contrapporre in modo vivace e acceso. Come spiegano i dizionari, le opinioni sono idee personali, che possono essere imprecise e inesatte: ma nel grande circo dell’informazione, tutte hanno lo stesso spazio e lo stesso valore. In questo modo i media mescolano in modo talvolta casuale eccellenti interventi di apprezzabili analisti con idee strampalate e fuorvianti, proposte da personaggi di dubbio spessore. Finché si tratta di temi irrilevanti o futili, si può anche capire, lo spettacolo ha le sue regole. Diventa invece tutto più complicato quando si parla di un fatto terribile come una guerra nel cuore dell’Europa, un evento che molti di noi non riuscivano neppure a immaginare e rispetto al quale è più che mai indispensabile avere idee chiare. Che il ministro Lavrov menta in modo evidente e spudorato fa parte delle logiche del conflitto, e del resto i russi ci hanno abituati per decenni alla diffusione di notizie palesemente false. Più fastidioso è accorgersi che c’è una vera industria della fabbricazione di notizie artefatte e di posizioni che sostengono le ragioni dell’aggressore. Sappiamo che in guerra la disinformazione è un’arma, efficace soprattutto nei confronti delle volubili e frammentate democrazie europee, e che i russi la sanno usare. Così se a Mosca chi definisce “guerra” l’invasione armata di un paese confinante sa di rischiare l’arresto, perché non esiste la libertà di stampa o di espressione, da noi può capitare di sentire interventi che giustificano o minimizzano i crimini e le distruzioni che vediamo quotidianamente. I media li ospitano per varie ragioni: le televisioni perché devono fare audience, i giornali perché devono differenziarsi, e i social perché sono da sempre un contenitore che si presta alla fabbricazione di notizie farlocche. Che fare, dunque? Non vogliamo e non dobbiamo certamente limitare la nostra libertà di pensiero e di espressione, che è ciò che ci rende orgogliosi di vivere in una democrazia. Se è legittimo chiedere che i fatti non vengano negati o stravolti e che le opinioni non siano fabbricate solo allo scopo di fare spettacolo o addirittura di favorire i nemici della nostra società e dei nostri valori, è però difficile stabilire i limiti di ciò che può essere detto. Ma le opinioni sono importanti. “Non importa cosa vi dicono, le parole e le idee possono cambiare il mondo”, ci ricorda il professore dell’Attimo fuggente. Non c’è altra soluzione, dunque: decidere quali informazioni accettare e quali opinioni condividere spetta a ciascuno di noi, chiamato a scegliere chi è autorevole, di chi fidarsi. Come? Un metodo può essere quello di attenersi ai fatti. E il fatto da comprendere è chiaro: un impero retto da un autocrate e da un potere poliziesco ha attaccato un paese confinante sulla base di argomentazioni pretestuose e fasulle, e non sta esitando a commettere violenze e atrocità nei confronti della popolazione civile, distruggendo intere città, pur di conquistare nuovi territori, perseguendo un disegno di potenza che non sembra avere alcun senso. Non dovrebbe esserci spazio per chi sostiene verità diverse. Se qualcuno ritiene che la guerra non sia un fatto ma un’opinione, e che gli aggressori del popolo ucraino abbiano qualche ragione, non è il caso di perdere tempo ad ascoltarlo.