La stratificazione sociale resiste anche nel tempo della società liquida. Ma i lavoratori sono ancora solidali tra di loro?

Parlare di classe sociale, nel tempo della società liquida, è come cercare di rispolverare una categoria che sembrerebbe confinata in un passato remoto. Nella ricerca sociologica e negli studi statistici, tuttavia, il concetto di classe è sempre stato cruciale nelle analisi comparative e nelle dinamiche delle disuguaglianze, anche al fine di studiare la mobilità sociale, ricorrendo a modelli più o meno riconosciuti dalla comunità scientifica.

Che (r)esista una stratificazione sociale è indubbio. La domanda che resta aperta è se a questa stratificazione (solitamente legata al lavoro e al reddito), che genera disuguaglianze, corrisponda anche una solidarietà interna alle classi sociali, almeno quelle più basse.

La sensazione è che alcune tendenze sociali più ampie l’abbiano messa a rischio, prima fra tutte il crescente individualismo che dilaga nelle società occidentali. Un processo visibile anche nella riduzione della capacità rappresentativa dei sindacati nel mondo del lavoro.

Abbiamo chiesto a Ciro Cafiero, esperto di diritto del lavoro, avvocato, collaboratore di testate come La Voce.info, Huffington Post e Formiche e del ministero del Lavoro, se è ancora attuale il concetto di classe sociale. «Dipende dal punto di osservazione» spiega. «La classe sociale, di tipo marxista, con il capitale da un lato e i salariati dall’altro, è il frutto avvelenato della logica del conflitto, un rigurgito del fordismo che ancora affascina alcuni attori del lavoro. Questo è un punto di osservazione ideologico. Da quello realistico, è la logica dell’alleanza che comincia a prevalere con forza. Lavoratori, imprese e parti sociali sono alleati dinanzi a sfide come quelle del Covid e le vincono. Lo smart working è un esempio di questa alleanza: lavoratori responsabilizzati verso obiettivi di produttività e imprese disponibili a fidarsi di loro».

Lo schema basato su tipo di occupazione e reddito riesce ancora a “spiegare” la realtà di oggi? 

Sicuramente, è importante premiare il merito e chi si impegna di più o assume maggiori responsabilità. Ciò che non è giustificato è il divario mostruoso, come quello negli Stati Uniti, tra chi ricopre cariche di potere, che arriva a percepire fino a mille volte quello che percepiscono i lavoratori. In Italia, resta da fare sul terreno del gender pay gap per consentire a giovani e donne di percepire un reddito uguale a quello dei colleghi adulti maschi e ampliare le occasioni in favore dei meritevoli ma senza possibilità economiche.

Esiste ancora una solidarietà tra lavoratori? 

Le imprese sono fatte di persone e tra persone è naturale instaurare rapporti di solidarietà. La persona fiorisce nel lavoro grazie all’incontro con l’altro e, come ci ricorda papa Francesco, il lavoro deve essere libero, creativo, partecipativo e solidale. Il dovere di solidarietà fu incastonato come una gemma nell’articolo 4 della Costituzione. Grazie alle ferie solidali, per esempio, i lavoratori cedono a colleghi in difficoltà (soprattutto per esigenze di accudire persone malate) le proprie ferie.

Qual è il ruolo e lo spazio dei corpi intermedi? 

Ancora oggi le parti sociali, sindacati e associazioni di rappresentanza dei datori di lavoro giocano un ruolo fondamentale, non solo per le responsabilità che la legge affida loro, ma per il loro essere sentinelle fuori e dentro le imprese, dei territori.  A loro, Gino Giugni riconosceva una genetica capacità di interpretare i cambiamenti del lavoro. La contrattazione collettiva è chiamata a importanti sfide sul terreno della flessibilità del rapporto di lavoro che l’innovazione richiede, del welfare, dei nuovi diritti, della migliore regolamentazione delle nuove forme di lavoro.

 

Quali sono gli strumenti del diritto del lavoro per favorire una riduzione delle disuguaglianze? 

Legge e contratto collettivo sono gli arnesi del diritto del lavoro. La prima deve disegnare la cornice entro cui la seconda deve operare. Contrattazione soprattutto di secondo livello, capace di cucire a misura di singoli contesti produttive discipline specifiche. Le diseguaglianze in Italia sono molte: quelle dei lavoratori della gig economy come i riders privi di adeguate tutele, dei falsi “co.co.co” e delle false “partite Iva”, dei lavoratori in nero, dei giovani e degli anziani che il mercato del lavoro include meno, delle lavoratrici per assenza di “work-life balance” di fronte all’esigenza di prendersi cura dei figli e delle persone non autosufficienti, della maggiore difficoltà di reperire occupazione, e dei divari reddituali: il 70 % dei posti di lavoro perso durante la pandemia è femminile. Il cosiddetto “coefficiente di Gini”, che misura le diseguaglianze, è passato, da 0,35 a 0,37 nel primo trimestre del 2020 per l’Italia. Ma più di ogni cosa, il diritto del lavoro ha bisogno di uno strumento: il coraggio dei suoi attori di riformarlo dinanzi a sfide nuove.

Per finire, quali sono i grandi cambiamenti del mondo del lavoro in Italia? 

Il mondo del lavoro cambia in orizzontale e in verticale. In orizzontale, perché si aprono grandi spazi in nuove aree. Così nel mercato del green, legato alla transizione ecologica, del white, legato ai servizi per il benessere fisico e psichico della persona, del brown, legato all’agricoltura, o ancora in conseguenza della rivoluzione tecnologica che distrugge alcuni lavori ma ne crea tanti altri, con un saldo positivo. 

E l’altra trasformazione del lavoro? 

Cambia in verticale, perché cambia il mondo di lavorare. Lo smart working vive incredibili momenti di gloria e si candida a diventare, nella forma alternata al lavoro in ufficio, una delle forme ordinarie di lavoro: l’ufficio non sarà più luogo di lavoro ma strumento di lavoro al pari degli altri. Il crowd work si è diffuso a vista d’occhio, lo conosciamo come gig economy, e ci interroga su più efficaci garanzie dei diritti basilari dei lavoratori. Il lavoro è uscito fuori dalle tradizionali categorie di spazio, tempo e poteri direttivi, si è “disintermediato”.