Basta, non si gioca più. Questa, in sintesi, la conseguenza della recente nuova politica del governo cinese verso i videogames on line, preoccupato dall’aumento delle dipendenze che colpiscono molti giovani e bambini cinesi. I dati rilevati in Cina dimostrano che i ragazzi più giovani passano molte ore al giorno collegati on line, molto più che in altri paesi. Per questo motivo dal 2016 la Cina ha più volte regolamentato l’utilizzo delle piattaforme dei giochi on line, sempre adducendo motivazioni diverse, tutte dettate dalla volontà di tutelare la salute fisica, mentale e morale dei giovani cinesi. Il recente provvedimento aumenta le restrizioni introdotte nel 2019 e consente l’utilizzo delle piattaforme di giochi on line solo ai maggiori di 18 anni per un’ora di tre sere a settimana, dalle otto alle nove il venerdì e nei week end. Le società che gestiscono le piattaforme di gioco dovranno essere collegate a un sistema di controllo anti-dipendenza creato dallo Stato e chi giocherà potrà farlo solo creando account di una identità reale, con esclusione dei minorenni. Pare che il provvedimento si spingerà fino alla limitazione dei giochi off-line, scelta inevitabile dopo aver definito i videogiochi come “oppio spirituale”.

L’imposizione di una simile regola, senza alcuna gradualità, è giustificata dalle segnalazioni di molte famiglie preoccupate per il tempo dedicato al gioco dai ragazzi, veramente eccessivo e patologico. Ma sorgono di riflesso alcuni interrogativi, il primo di carattere socio-economico: è giusto che lo stato intervenga per regolamentare questa attività, con impatti negativi sia sulle imprese del settore sia sul processo di socializzazione dei giovani attraverso il gioco on line, che durante le partite consente di dialogare con gli altri giocatori? Negli adolescenti il gioco ha un ruolo importante per la loro crescita mentale, basti pensare a questi elementi racchiusi nel gioco sociale: manualità e competenza, sfida e competizione, vittoria e sconfitta. Il secondo interrogativo è di carattere etico: sulla base del principio di tutela della salute mentale dei giovani può lo stato sostituirsi alle famiglie nel controllo e limitazione dell’attività dei loro figli, ritenendole in pratica incapaci di guidarli, educarli o di responsabilizzarli? La risposta non è certamente facile perché se da un lato sosteniamo la libertà di scelta del cittadino, principio ben radicato nella nostra cultura e reclamato nelle attuali manifestazioni di piazza contro il Green Pass, esiste tuttavia la difficoltà nel comprendere la reale e profonda differenza tra il nostro contesto socio culturale e quello cinese, dove l’intrusione imposta dallo Stato nella vita dei cittadini viene accettata. Mi chiedo quali sarebbero le reazioni a una simile regolamentazione nostrana, ricordando peraltro che in Italia i giocatori vittime del gioco d’azzardo patologico sono oltre 1.200.000 e in carico al servizio sanitario per le cure soltanto 12.000. Forse non sarebbe poi la Caporetto del diritto approvare anche in Italia qualche regoletta più stringente per scongiurare le situazioni di gioco patologico.