Intervista a Paolo Erba, sindaco di Malegno, e Lara Cornali, psicologa, costruttori di bellezza attraverso il proprio lavoro.

Paolo Erba, 43 anni, pedagogista, da 7 anni sindaco di Malegno

Che forma ha per te, come sindaco, la bellezza?

Io vedo la bellezza nel cercare di riportare equilibrio e armonia nella comunità, nel creare un ambiente sereno in cui vivere, dove le persone possano stare bene insieme, dirsi soddisfatte di abitare in un luogo bello che ti fa sentire bene.

Fare il sindaco, però, a volte, è un compito difficile: porta preoccupazioni, responsabilità, timore di non soddisfare le aspettative dei cittadini, di non cogliere dei bisogni… ma ha anche degli aspetti positivi, quali sono per te? Cosa fa emergere la bellezza del tuo lavoro?

Il bello di amministrare una comunità è poter creare, fare qualcosa di nuovo, portare un miglioramento per realizzare un’idea di paese che permetta a tutti i cittadini una vita dignitosa e felice.
L’altro aspetto che più mi piace del mio ruolo è tessere relazioni, perché sono il fulcro di una comunità coesa e attiva. Creare relazioni forti è per me un modo per entrare in stretto contatto con la cittadinanza, anche indirettamente, attraverso persone che ricoprono mestieri chiave per una comunità, come il medico o il parroco. In questo modo posso conoscere e capire i bisogni dei cittadini.

In che modo sei riuscito a portare bellezza nel tuo paese? Hai qualche esempio di esperienza o progetto da raccontare che ti ha dato conferma di aver raggiunto questo scopo?

La nostra amministrazione si è concentrata principalmente su due temi: l’ambiente e l’educazione.
Abbiamo fatto degli interventi importanti e coraggiosi per l’ambiente, costruendo un parco energetico con impianti fotovoltaici. Una scelta che non ha convinto subito tutti, ma che si è rivelata vincente per l’autonomia nell’approvvigionamento energetico e ha cambiato radicalmente l’idea di energia e consumi, riducendo drasticamente i costi e l’impatto ambientale.
Sul piano educativo, invece, abbiamo istituito un appuntamento che è ormai diventato tradizione: il Festival dell’educazione. Ogni anno invitiamo ospiti anche di alto profilo a dialogare e promuovere la cultura e una redazione di ragazze e ragazzi di 12-14 anni, coordinati da un educatore, realizza articoli giornalistici e un video reportage di quel che accade a Malegno.
Infine, tre anni fa, in collaborazione con la Comunità Montana, abbiamo invitato Gonzalo Borondo, artista spagnolo di fama internazionale, per realizza un murale in paese: ha ridato senso a un luogo che era stato trascurato, ha donato un nuovo spazio alla comunità.
Capisci che hai trovato la strada giusta quando vedi nella soddisfazione delle persone.

In una comunità ci sono spesso diverse opinioni contrastanti su cosa rende bella la propria città. In politica le opinioni contrastanti sono forse ancora più schierate e dichiarate. Come sei riuscito ad aprire gli occhi di una comunità verso la tua stessa idea di bellezza?

I piccoli comuni fortunatamente vivono meno la divisione partitica da tifoseria.
Il cittadino ti chiede di esserci e affrontare con lui alcune difficoltà. Malegno è una bella comunità, capace di dialogare e collaborare, non è stato difficile trovare mediazioni tra necessità e bisogni e lavorare insieme.
Noto, però, nel panorama politico un’urgenza di riappropriarci della capacità di confliggere: avere idee differenti è naturale ed è importante dare voce a tutte le opinioni, ma ri-imparando a mediare e a collaborare per arrivare a dei buoni compromessi.

Qual è il tuo impegno per generare bellezza nel tuo paese? In che direzione stai lavorando per il futuro?

Le mie stelle polari sono sempre l’ambiente e l’educazione. Continuerò di certo a lavorare su questi due temi, che fin ora han dato ottimi risultati.
Vorrei aggiungere la partecipazione: è la parte più faticosa di questo lavoro, ma anche la più importante. Quest’estate siamo andati a trovare le persone direttamente sotto casa per ascoltarle e coinvolgerle nella vita comunale. Abbiamo il desiderio di rigenerare il centro storico, ma per farlo non possiamo prescindere dalla partecipazione dei suoi abitanti.

 

Lara Cornali, 29 anni, psicologa, da due anni lavora con i senzatetto per l’associazione Perlar

Cos’è per te la bellezza nel tuo lavoro?

Bellezza per me è cercare risorse nascoste, vedere le persone riacquistare speranza pian piano. Bellezza è aiutare le persone a guardarsi con occhi diversi, a riscoprirsi altro da quello a cui erano abituati a vedere e, allo stesso tempo, aiutare la comunità ad accogliere chi, per qualche motivo, si è allontanato, creando relazioni di cura.

Fare la psicologa è un lavoro complesso e delicato, che tocca da vicino le fragilità delle persone e le difficoltà più profonde, ma ha anche degli aspetti positivi, quali sono per te?

Lo sforzo costante di guardare oltre, oltre le difficoltà momentanee, le fragilità e le fatiche delle persone per riscoprire il bello che ci sta dietro e, a un certo punto, accorgersi di non ricordare nemmeno più quali erano queste difficoltà. La possibilità di entrare in relazione con le persone, una relazione forte che implica una grande responsabilità ma anche l’onore di poter osservare nel tempo un cambio di sguardo che la persona ha su di sé.
L’altro aspetto che mi piace è quello di poter instaurare relazioni generative, creare connessioni fra realtà che poi proseguono e generano benessere in modi assolutamente inaspettati e impossibili da prevedere.
Infine, il potersi confrontare costantemente, scambiarsi opinioni con i colleghi, stare e vivere io stessa relazioni positive per me, che fanno stare bene, incontrare nell’altro un supporto.

In che modo sei riuscita a portare bellezza nel tuo lavoro? Sapresti fare qualche esempio concreto che ti ha dato conferma di aver centrato il segno?

Non sono cose che avvengono nel breve tempo e spesso non dipendono nemmeno dalla tua volontà, più spesso il lavoro è quello di creare opportunità e poi sperare che qualcosa accada, fiorisca indipendentemente da te e dalla tua presenza. Un esempio di questo mi è successo seguendo una persona senza dimora in un percorso di riavvicinamento alla comunità attraverso il volontariato. Parrebbe un paradosso chiedere a un senzatetto di spendersi volontariamente per un’associazione, quando lui stesso avrebbe bisogno di sostegno. La sfida era quella di ribaltare la logica della persona bisognosa vista semplicemente come beneficiario di interventi e mai come protagonista attivo e cittadino al pari degli altri all’interno della città. Dopo qualche mese di volontariato lui stesso mi ha riferito che il luogo in cui svolge servizio è l’unico ambiente in cui può percepirsi una persona normale. Il volontariato gli ha permesso di cambiare lo sguardo su di sé, spostandosi dal vedersi solamente come bisognoso per aprire altre possibilità. Come valorizzazione del suo impegno gli è concesso ogni mese l’acquisto di qualche bene di cui ha necessità, da tempo sceglie di impiegare questa spesa nell’acquisto dell’abbonamento della metropolitana. Per quanto possa sembrare un piccolo gesto poco significativo, racchiude in sé un desiderio di riavvicinarsi alle logiche della società, percependosi cittadino al pari degli altri e desiderando, quindi, anche sottostare alle sue norme.

Quali sono le tue strategie per aiutare le persone che segui a ricominciare a vedere la bellezza?

Rimandare loro uno sguardo di bellezza, che non si sofferma e non cerca le fragilità ma che le include in una visione complessa dell’individuo che è fatto sia di fatiche, sbagli, difficoltà, ma al contempo di risorse, competenze, possibilità nuove. Poi cerco di valorizzare, prima dentro di me e poi con loro, ogni piccolo traguardo. Credo che per sentirsi e percepirsi differenti a volte sia necessario il rimando di qualcuno che con pazienza e costanza ci rimanda una visione di noi stessi che mette in luce le risorse e non le mancanze. Altra strategia è quella di ampliare gli sguardi che possono rimandare positività, includendo altre persone che possano restituire dignità ad ogni individuo.

Ci sono delle azioni, dei progetti o delle attività che sogni di poter fare in futuro e che pensi renderebbero più bello il tuo lavoro?

Mi piacerebbe creare inclusione, affinché chi ora è ai margini possa pian piano sentirsi riaccolto con dolcezza nella società, o almeno trovare qualcuno che l’abbia a cuore in quanto individuo. Credo che la cosa migliore potrebbe essere quella di diffondere e costruire insieme alla comunità modalità di relazione, progetti, interventi, che vadano a includere e non escludere, a prendersi cura e non solo a curare. Mi piacerebbe che insieme si potesse provare a creare una comunità che sia accogliente e che si senta responsabile del benessere di tutti.