Paghiamo per essere venduti

C’è un filo rosso che lega i libri di Thomas Piketty su “Il capitalismo nel XX secolo” (Milano 2014) e su “Capitale e ideologia” (Milano, 2020) con quello di Shoshana Zuboff su “Il capitalismo della sorveglianza” (Roma, 2019): è il filo che lega la storia che ci ha portato dal capitalismo del mercato a quello appunto della sorveglianza. Nel primo libro citato, Piketty ha analizzato una raccolta unica di dati di venti Paesi, risalendo fino al XVIII secolo, individuando i percorsi che hanno generato la realtà socio-economica recente a proposito di accumulo e distribuzione del capitale, dimostrando che la crescita moderna ci ha permesso di evitare le disuguaglianze apocalittiche profetizzate da Marx, ma non ha modificato le strutture profonde del capitale e delle disuguaglianze che tendono invece ad espandersi. Nel secondo libro Piketty sostiene che la disuguaglianza è ideologica e politica, e non economica o tecnologica. Questo significa che “bisogna studiare bene i dispositivi istituzionali e i dettagli delle regole legali, fiscali o dell’istruzione istituite nei diversi paesi, perché sono proprio quelli i dettagli decisivi” che garantiscono (o meno) il progresso dell’uguaglianza (op. cit. p. 26).

Lo studio dettagliato e profondo di Shoshana Zuboff si inserisce sul percorso di Piketty per mettere in luce il radicale cambiamento in atto sulla scena politica ed economica. Nelle prime pagine l’Autrice cita Piketty con un rimando alle disuguaglianze economiche e sociali ormai insostenibili e aggiunge: «Vogliamo controllare il modo in cui viviamo, ma quel controllo viene costantemente mandato all’aria» (op. cit. p. 54). E propone questo quadro della evoluzione in atto fra capitalismo di mercato e di sorveglianza: «Ci sono tre modi evidenti nei quali il capitalismo di sorveglianza si distacca dal capitalismo di mercato: per prima cosa, si basa sul privilegio di una libertà e di una conoscenza illimitate; per seconda cosa, abbandona gli storici rapporti di reciprocità con le persone; per terza cosa, dietro allo spettro della vita nell’alveare è possibile intravedere una visione collettiva della società, sostenuta dall’indifferenza radicale del Grande Altro» (è una definizione che si riallaccia al Grande Fratello – ndr) (op. cit. p.511).

Premetto che dare conto di una ricerca approfondita illustrata in una pubblicazione di otre 600 pagine è un compito quasi proibitivo, ma sarebbe riduttivo farne una breve recensione. Penso che una via d’uscita possa essere individuata in alcune sottolineature criticamente estrapolate.

Incominciamo dalla fotografia dell’esistente. Quali sono i numeri del capitalismo della sorveglianza? Sono incalcolabili. Intanto le tecnologie della comunicazione sono più diffuse dell’elettricità: su una popolazione mondiale di 7,79 miliardi di persone, il 66% (5,15 miliardi) usa un telefono cellulare; il 59% (4,57 miliardi) è un utente attivo di internet; il 51% (3,96 miliardi) è attivo sui social network; tra luglio 2019 e luglio 2020, gli utenti dei social sono aumentati di 376 milioni.

Facebook ha plasmato il panorama dei social network fin dal suo lancio ed è in continua evoluzione. Con oltre 2,32 miliardi di utenti attivi al mese, Facebook rimane la piattaforma social più utilizzata. Gli utenti attivi sono gli utenti che hanno effettuato l’accesso a Facebook negli ultimi 30 giorni. Facebook è stato anche il primo social network a superare il miliardo di utenti attivi, raggiungendo questa pietra miliare nel terzo trimestre del 2012.
Il traffico web è cresciuto di 17,5 milioni di volte rispetto al 1992. Nel 2017 Microsoft ha contato 500 milioni di dispositivi Windows; 100 milioni di utenti mensili del suo software; più di 12 milioni di organizzazioni che utilizzavano i suoi sevizi, compreso il 90 per cento delle aziende top 500 di “Fortune”. I dispositivi per l’archiviazione dei dati e processori è cresciuto dai 9,35 miliardi di dollari del 2015 ai 53,98 miliardi del 2020 con la previsione di una crescita annuale che sfiora il 35 per cento. Google registra più di 40.000 accessi al secondo: più di 3,5 miliardi di ricerche al giorno, cioè 3000 miliardi a livello mondiale (dato del 2017, certamente da dilatare).

Google aveva un valore di mercato pari a 400 miliardi di dollari nel 2014, sedici anni dopo la fondazione e ha superato la Exon Mobil al secondo posto per capitalizzazione sul mercato e ha raggiunto i 649 miliardi nel 2017. Nel 2017 Facebook è in settima posizione fra le 100 aziende top, con una capitalizzazione di 500 milioni di dollari. Google e Facebook nel 2016 hanno assorbito un quinto della spesa pubblicitaria mondiale, il doppio rispetto al 2012. Da annotare: hanno raggiunto questi traguardi in pochi anni (Google è nata nel 1998 e Facebook nel 2004) rispettivamente con 75.000 e 18.000 mila dipendenti. La General Motors ha impiegato quarant’anni per arrivare a una capitalizzazione di 222 miliardi nel 1965 quando contava 735.000 dipendenti.
Nel 2018 il mercato globale delle smart home (o “casa intelligente”, si riferisce a tutti gli strumenti tecnici presenti tra le mura domestiche) è stato valutato 36 miliardi di dollari e si prevede che nel 2023 possa raggiungere i 151 miliardi.

Penso sia utile aggiungere qualche dato italiano per capire l’incidenza dell’esplosione comunicativa nel mondo che ci circonda. All’inizio del 2021 hanno raggiunto i 100 milioni (93 milioni nel 2020) le “cose connesse”: in testa le automobili e poi i contatori “intelligenti”. Per un mercato è stimato in 6 miliardi i euro (con aumenti pari al 35% nel 2018 e del 24% nel 2019, mentre la pandemia c’è stata una contrazione del 3%).
L’uso di internet coinvolge quasi 50 milioni di persone (82% della popolazione). Il 97% degli italiani possiede un cellulare e il 70% circa usa uno smartphone (erano il 15% nel 2009); il numero dei contratti per la telefonia mobile è di 1,55 per utente (pari a 80 milioni di contratti, cioè per il 133% della popolazione). Le persone attive sui social sono pari a 35 milioni (58%). Dal 2019 al 2020 gli utenti dei social sono aumentati di 2 milioni e centomila (+ 6,4%). Comunque gli utenti italiani manifestano anche preoccupazione per il proliferare sui social media, e su internet in generale, delle fake news (52%) e per il trattamento dei propri dati (59%); cresce anche l’ad-blocking (controllo dei messaggi pubblicitari), passa dal 35 al 40%.

È fondamentale rendersi conto, numeri alla mano, di che cosa stiamo parlando: di un sistema che sta stravolgendo il panorama sociale e quindi anche la vita delle persone.

Il percorso che la Zuboff descrive è basato naturalmente sullo sviluppo della tecnologia comunicativa che ha permesso di costruire una rete, di nome e di fatto, che avvolge il mondo intero. Di fatto: «Il capitalismo della sorveglianza si è impossessato delle meraviglie del mondo digitale finalizzate a garantirci una vita migliore, promettendoci il sogno di una informazione illimitata, un’infinità di modi di migliorare le nostre vite indaffarate anticipandone i bisogni. L’abbiamo accolto nei nostri cuori, nelle nostre case , con i nostri riti di ospitalità. Ma come vedremo nel dettaglio, grazie al capitalismo della sorveglianza le risorse che potevano migliorare le nostre vita sono ora gravate da inedite minacce. In questo nuovo regime, nel momento stesso in cui soddisfiamo i nostri bisogni, le nostre vite vengono saccheggiate, e qualcuno guadagna impadronendosi dei nostri dati comportamentali. Il risultato è una miscela perversa di miglioramento e peggioramento. Senza una risposta da parte della società in grado di limitare o vietare questa logica dell’accumulazione, il capitalismo della sorveglianza sembra destinato a diventare la forma dominante di capitalismo della nostra epoca» (op, cit. p. 62).

Il punto di partenza, grazie appunto allo sviluppo degli strumenti sempre più sofisticati della comunicazione, è stata l’idea di organizzare tutta l’informazione del mondo e renderla universalmente accessibile e utile. È l’dea che ha generato la fonte di tutti i motori di ricerca, Google. Perché Google ha guidato, scoperto, elaborato, sperimentato, messo in pratica il capitalismo della sorveglianza.

Nello sviluppo di questo processo comunicativo, gli utenti, cioè tutti coloro che hanno usato e usano i canali di ricerca, i social network, i siti informatici, il mercato online, hanno fornito e continuano a fornire dati personali di ogni genere che ad un certo punto sono stati ordinati costruendo un fondo dati inimmaginabile fino a pochi anni fa. Questo ha permesso e permette ogni giorno ai grandi capitalisti dell’etere di «sorvegliare, catturare, espandere, costruire e reclamare surplus comportamentale, inclusi i dati intenzionalmente non condivisi dagli utenti. Gli utenti recalcitranti non ostacoleranno l’espropriazione dei dati. Nessun limite morale, legale o sociale intralcerà la ricerca, la sottrazione e l’analisi del comportamento altrui con scopi commerciali» (p. 90).

Non è in gioco soltanto la privacy, ma lo sfruttamento commerciale di ogni clic e di ogni singolo like: questo spiega la rapida ascesa, evidenziata dai numeri proposti in apertura, di un mercato di migliaia di miliardi. Le piattaforme catalogano le scarpe o i libri che comperiamo, gli argomenti che scegliamo per le ricerche, le amicizie che frequentiamo sui social, i messaggi che inseriamo: dati che servono a costruire il profilo di ogni persona e i profili vengono messi a disposizione dei commercianti, naturalmente a pagamento. Senza il nostro consenso cosciente (perché c’è anche il consenso rubato).

L’Autrice sottolinea che la grande impresa della Rete, una rivoluzione più grande di quella di Gutemberg, «ci ha resi ciechi al cospetto di un altro cambiamento storico, che avviene al riparo dei nostri sguardi e delle nostre azioni, e ha lo scopo di escludere, confondere e obnubilare. In questo movimento nascosto, la competizione per i guadagni della sorveglianza ci riporta a un ordine pre-Gutemberg, con la divisione dell’apprendimento nella società che diviene patologica, riservandolo a uno stretto clero di specialisti informatici che lavorano per privati con macchine private che imparano per i loro interessi economici» (p. 203).

Ho accennato prima al consenso rubato e mi riferivo a un fenomeno che tutti noi conosciamo. Quando facciamo una ricerca in rete, ogni tre per quattro appaino dei messaggi regolamentari che prevedono una risposta fra “accetto” e “non accetto”. Non credo proprio di essere il solo a schiacciare a occhi chiusi il tasto “accetto”, senza leggere il testo per rendermi conto a chi e a che cosa sto dando il mio consenso. Per “accelerare” la ricerca.

Il fatto è che il nuovo capitalismo è esploso in un breve lasso di tempo e non è stato ancora percepito dall’opinione pubblica e dai governi in tutti i suoi aspetti critici. Non sono mancate le proteste e anche il ricorso ai tribunali, ma finora questi hanno accettato la giustificazione delle aziende che si sono dichiarate non perseguibili in mancanza di un danno economico evidente per il consumatore. Siamo nella terra di nessuno sul piano del diritto. La Zuboff racconta nei dettagli la vicenda di Paul-Olivier Dehaye che nel 2016 pretese di conoscere da Facebook la sua scheda personale, cioè i dati che il social aveva accumulato su di lui. Dopo varie sollecitazioni, Facebook ha risposto che quei dati non erano recuperabili perché “non impiegati direttamente dal sito di Facebook al quale accedono gli utenti” (pp. 498-500). Il che ha permesso all’Autrice di sottolineare la parte peggiore del capitalismo della sorveglianza: l’esistenza di due livelli cognitivi, quello dei testi pubblici e quello dei testi-ombra di un mercato-ombra.

Quello che ho cercato di evidenziare è una parte minima del libro, ricchissimo di informazioni sconosciute all’opinione pubblica. Il testo propone anche alcune ripetitività, ma servono per mantenere la linea di riflessione. Vorrei concludere con una battuta: la lettura del libro è fonte di serie preoccupazioni sul futuro, ma la storia del mondo e delle persone che lo abitano non sono sempre lineari. E non tutte le sorprese sono negative. La storia del capitalismo della sorveglianza, tra le pieghe, spiega perché Trump nel 2017 ha vinto le elezioni. Senonché nel 2021 le ha perse.