Se è vero, come è vero, che ogni crisi è sempre anche una opportunità di miglioramento, possiamo tutti insieme convenire che l’epidemia di Covid, mettendo a nudo i problemi del nostro sistema sanitario (che pure ha dimostrato di reggere a una tragedia mai vista nella storia recente) ci dà la possibilità di ripensare l’organizzazione della sanità.

È molto probabile che una buona parte dei fondi e delle risorse che tramite il programma Next Generation EU verranno impiegate nel nostro paese, vengano indirizzate verso la sanità, ma è lecito chiedersi: è solo di questo che abbiamo bisogno?

Il timore di una politica fatta solo di spesa, che vada verso un potenziamento del sistema attraverso un finanziamento straordinario, ma senza risolvere le criticità strutturali, ci fa prevedere un potenziamento senza riforma, e questo non è sufficiente. Per evitare il corto circuito, potenziamento e riforma devono andare avanti insieme.

Non è solo un problema di tenuta: è anche un problema di inadeguatezza. Basta potenziare il territorio o il territorio, alla luce delle esperienze fatte (compresa la pandemia), va radicalmente ripensato? Esiste una nuova idea di territorio? Un progetto organico? Una visione? Ascoltando gli addetti ai lavori (medici, sanitari, operatori della salute e dell’assistenza) che credono nel proprio lavoro e nella propria “missione”, mi sembra che emergano due necessità: riformare il concetto di tutela della salute e cambiare il modello di governo della sanità.

Riformare il concetto di tutela della salute è oggi indispensabile per responsabilizzare il cittadino. Nel corso di questa pandemia si è visto (in tutta la sua drammaticità) che l’idea di tutela è un concetto anacronistico che non funziona più. Non più solo delega a medici o ospedali rispetto ai bisogni individuali e collettivi di salute, bensì un nuovo patto “medico/cittadino” che fornisca chiarezza sui diritti e sui doveri di ciascuno.

Cambiare il modello di governo della sanità, inoltre, è urgente visto che è evidente che la formula “aziendale” delle ex Asl (Asst in Lombardia) pur magari producendo risultati in termini di risparmio economico, ha ridotto i medici a dei burocrati e i pazienti in utenti con tutti diritti e nessun dovere.

Semmai l’idea è quella di pensare a un sistema organizzato per comunità, inteso come un sistema il più vicino, il più prossimo al territorio e ai suoi bisogni di salute. In questo modo sarebbe possibile anche recuperare quella integrazione socio-assistenziale che molte difficoltà ha incontrato negli ultimi tempi, rispondendo all’invecchiamento della popolazione e all’aumento delle malattie croniche con modelli nei quali tutta la “filiera” della salute, dai medici di base ai poliambulatori specialistici, dalle cliniche alle farmacie, dalle RSA ai servizi domiciliari, fanno rete e si integrano per il bene dei cittadini. Il sistema sanità è a un punto di non ritorno: o si fanno delle riforme vere o salta tutto.