È più che naturale che nel tormentato periodo che stiamo attraversando ormai da oltre un anno le preoccupazioni maggiori siano rivolte alla difesa e alla tutela della salute. Immediatamente dopo (o assieme) vengono quelle prodotte dall’incertezza sul futuro riguardo al lavoro, al reddito e dai timori che possa in tutto o in parte venir meno.

Porsi oggi degli interrogativi in ordine a come sarà trasformato il Paese, che tipo di rapporti sociali si saranno conservati e quale sarà il livello della loro qualità è doveroso almeno da parte di chi ha grandi, ma anche modeste, responsabilità di guida della o nella società o di qualche sua parte. Soprattutto dovremmo chiederci: il sistema politico sarà ancora sufficientemente democratico o sarà qualcosa di diverso di quello finora conosciuto?

È ben percepibile che in questi ultimi anni sono arretrate la solidarietà tra i cittadini, tra questi e le istituzioni, tra istituzioni e istituzioni. Sono fenomeni in atto già da alcuni anni, fenomeni da contrastare e combattere perché tuttora in fase espansiva che indeboliscono l’unità dello Stato.

Il funzionamento del sistema statale è a sua volta alterato e la sua democraticità è ora meno solida.

Si osservi come venivano prese le decisioni dal Governo e come fossero in uno Stato di quasi inerzia le assemblee parlamentari. L’assenza di una significativa attività legislativa del Parlamento lo ha ridotto a poco più di organo di ratifica dei progetti del Governo. Visti i tempi che corrono si può forse essere indulgenti sulle deviazioni dall’ortodossia costituzionale a cominciare dalla dichiarazione dello stato di emergenza intesa come una sospensione parziale dei diritti. Tale potere che il governo si è auto-attribuito per garantire la sicurezza sanitaria nel paese è temporaneo e rinnovabile ma la Carta non lo contempla.

Altri scostamenti, per ricordare i più evidenti, sono il frequente ricorso ai decreti legge e ai DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), le limitazioni agli spostamenti sul territorio, le chiusure delle frontiere e i coprifuoco, l’inattività forzata di interi settori del commercio, delle attività sportive e culturali, l’esplosione del debito pubblico.

Se questo modo di governare continuasse anche dopo l’emergenza sanitaria il Paese avrebbe assunto i connotati delle cosiddette democrazie autoritarie (o illiberali) come già avvenuto in alcuni Paesi, anche europei come l’Ungheria e la Polonia e vagheggiato anche da qualche nostro capo di partito. Si può obiettare che le preoccupazioni sono infondate o eccessive. Si è, però, su un terreno che era già scivoloso prima della crisi sanitaria e da questa peggiorato.

Da qualche settimana c’è un nuovo governo presieduto da una personalità di grande autorevolezza. Difficile fare previsione su quel che riuscirà a realizzare. Sperare però che sia meglio del precedente è legittimo. Il fatto che voglia coinvolgere di più il Parlamento è da valutare positivamente.