Da bambino, negli anni ’60, con tanti amici correvo dietro a un pallone nelle strade in salita del mio paesino. Tenevo al Cagliari e il mio idolo era Gigi Riva. I nostri genitori, che avevano vissuto la seconda guerra mondiale, nutrivano fiducia nel futuro e noi con loro; giocavamo infatti appassionatamente a calcio nelle strade in salita senza porci tanti problemi. Si capisce che non sono più giovane. Uno degli obiettivi del blog di Battaglie Sociali è di raggiungere, anche, un pubblico giovane. Non per nulla la redazione è fatta da ragazze e ragazzi giovani. Però ci sono anch’io, anziano. Le amiche e gli amici del blog sono però democratici, comprensivi e mi hanno lasciato nella redazione. Non essendo nemmeno giovanilista non cambierò il mio stile, sperando di non allontanare i giovani. E allora, richiamando la storia del nostro Paese, considerando che esso ha numerose carenze strutturali, è bene che ricordi alcune fondamenta nazionali positive. Ho ricordato gli anni ’60 perché sono quelli dello sviluppo economico e del boom demografico che seppero al meglio dispiegare gli effetti positivi del famoso “Piano Marshall”; un cospicuo intervento politico-economico che gli Stati Uniti lanciarono per la ricostruzione dell’Europa dopo la guerra. Oggi, in tempo di sofferenza sociale ed economica è spesso paragonato al “Recovery Plan”. Gli aiuti del dopoguerra furono importanti per lo sviluppo del vecchio continente e del nostro Paese. Alla fine degli anni ’60 troviamo una delle migliori espressioni dell’Italia giovane e fiduciosa nel futuro, la vittoria della nazionale di calcio, 4-3 sulla Germania ai Mondiali in Messico. Giungemmo secondi ma quella partita è ancora oggi memorabile e ricordata da tutti. I giovani però non sanno che la struttura di quella Nazionale di calcio era in prevalenza formata dai calciatori del mitico Cagliari di Gigi Riva, fresco vincitore dello scudetto. Sono gli anni di sviluppo del “welfare state” generalmente definito come la più grande conquista sociale e democratica della storia dell’Italia. È il periodo dove le disuguaglianze calano e l’inclusione di sempre più larghi gruppi sociali si concretizza. Oggi le disuguaglianze sono un male strutturale evidenziato sempre più nei progetti per uscire dalla crisi aggravata dalla pandemia. Gli auspici per ritornare a credere nel futuro, superando il gap demografico, economico, del lavoro e sociale, sembrano a portata di mano, anche grazie al massiccio aiuto, questa volta dell’Unione Europea, quell’altra grande conquista nata in quei decenni che ci ha garantito più di settanta anni di pace e prosperità. Non dobbiamo sprecare l’occasione, simbolicamente definita “Next generation UE” e, pur non vedendo all’orizzonte un secondo scudetto del Cagliari quale segnale positivo, dobbiamo crederci. Sono anziano, ho detto, ma non sono scemo e comprendo che il mondo non è più quello degli anni ’60. È molto più complesso, globalizzato, interdipendente e questo deve essere un punto di forza. Lo sarà se lo sviluppo sarà più umano, sociale e sostenibile.