Il Covid19 è un dramma planetario che ha interessato e sconvolto tutte le componenti della nostra vita e della nostra civiltà. Inevitabilmente è un fattore di cambiamento che ha portato e porterà a trasformazioni anche nei processi economici e sociali. Difficile immaginare oggi quali saranno permanenti. C’è una gran voglia che tutto torni come prima ma c’è la sensazione che sia impossibile: questa esperienza è stata troppo lunga e troppo profonda. Possiamo provare ad individuare alcuni percorsi di trasformazione che sembrano significativi e duraturi. 

  1. La rilevanza del sistema sanitario: se prima della pandemia l’attenzione era sull’efficienza e sul controllo dei costi della sanità pubblica, la percezione dell’importanza del sistema sanitario e degli investimenti in prevenzione e ricerca è cambiata drasticamente e ora è chiaro che si tratta di una componente essenziale della nostra idea di società e di civiltà, sia perché la salute è un diritto, sia perché senza salute non c’è crescita economica; c’è inoltre la consapevolezza che la salute è un bene globale;
  2. La domanda di protezione sociale: il ruolo dello stato come “difensore” e sostegno dei cittadini in difficoltà e come equilibratore delle disuguaglianze non è più in discussione e anzi viene fortemente sollecitato; i temi del welfare coinvolgono anche categorie tradizionalmente meno interessate;
  3. La volontà di avviare una “rinascita”: nel nuovo futuro da costruire sono centrali la sensibilità all’ambiente e l’attenzione ai giovani e al mondo dell’istruzione, penalizzato dalla pandemia e visto come risorsa strategica del paese; il desiderio di ripartire si associa a una rinnovata coscienza europea e mondiale;
  4. L’innovazione tecnologica: la digitalizzazione ha consentito di proseguire attività lavorative, commerciali e scolastiche; senza la tecnologia dell’informazione sarebbe stato impossibile reggere le chiusure; questo percorso appare solo agli inizi e si abbina al decentramento e alla riduzione degli spazi degli uffici reso possibile dallo smart working;
  5. L’intervento dello stato nell’economia: la fede nel mercato come equilibratore sociale “naturale” è ormai stata abbandonata e c’è una grande richiesta di intervento diretto dello stato nell’economia e nella realizzazione di infrastrutture; la politica viene vista come uno strumento che deve raggiungere obiettivi definiti a cui si richiede soprattutto concretezza e competenza, mentre perdono significato ideologie e sistemi di valori.

Si tratta di trasformazioni in parte già in corso, che sono state accelerate dalla situazione sanitaria. Lo scenario che disegnano è un mondo più attento ai valori fondanti dello stare insieme e alla coesione sociale, in cui la politica è fondamentale perché è chiamata a progettare il futuro, mentre al soggetto pubblico, sia esso lo stato, le istituzioni europee o le organizzazioni internazionali, viene riconosciuto un ruolo centrale di protagonista economico e sociale.

Non so se è la fine del liberismo, certamente è un grande cambiamento: il vecchio slogan “meno stato, più mercato” viene rovesciato.

Forse il mondo potrà cominciare a somigliare un po’ di più a quello che configura papa Francesco nella “Fratelli Tutti”: un mondo fondato sulla solidarietà, in cui “lo sviluppo non dev’essere orientato all’accumulazione crescente di pochi, bensì deve assicurare i diritti umani, personali e sociali, economici e politici, inclusi i diritti delle Nazioni e dei popoli”.

Certo, i problemi che abbiamo davanti sono giganteschi: le disuguaglianze, il cambiamento climatico, le crisi alimentari, l’inquinamento ambientale, le migrazioni, le guerre locali, la mancanza di democrazia. E le ferite del Covid sul sistema produttivo e sulle famiglie, con interi settori in ginocchio, richiederanno tempo per essere rimarginate. Ma possiamo darci da fare per cercare di migliorare il mondo che lasceremo alle generazioni che verranno: abbiamo molte idee su come farlo, e qualche ragione per sperare.