Ribelle per amore, ucciso dai fascisti a 23 anni

Ricorre quest’anno il centenario della nascita di Emiliano Rinaldini, il giovane maestro bresciano, che prese parte alla Resistenza antifascista nelle «Fiamme Verdi», assumendosi la propria responsabilità di fronte ai fatti tragici della storia.

Appartiene a quella generazione di giovani cattolici che, nell’incontro con ambienti alternativi ai percorsi imposti dal “totalitarismo educatore”, riuscì a maturare una coscienza antitotalitaria, fondata sui principi evangelici della giustizia, della liberazione, dell’amore verso il prossimo.

Fondamentale, nell’itinerario di crescita spirituale, di educazione al senso sociale e di formazione etico-civile di Emiliano Rinaldini (19 gennaio 1922-10 febbraio 1945), fu l’incontro con l’ambiente dell’oratorio filippino dei Padri della Pace, con don Peppino Tedeschi e con Vittorino Chizzolini all’Editrice la Scuola, che lo coinvolsero sia nelle attività caritatevoli a favore dei poveri e degli emarginati, sia nelle iniziative dell’Azione cattolica. Nel 1940 conseguì la maturità magistrale e si iscrisse alla facoltà di Magistero presso l’Università Cattolica di Milano (che non frequentò a causa della guerra), aderendo alla Fuci. Interpretò il suo ruolo di giovane maestro come un apostolato educativo, finalizzato alla formazione integrale della persona. Lasciato l’insegnamento, entrò nella redazione della rivista «Scuola italiana moderna», dove – dopo l’8 settembre 1943 – incontrò Astolfo Lunardi, che lo coinvolse nelle prime azioni clandestine del nascente movimento resistenziale bresciano. Successivamente, con il nome di battaglia “Emi”, prese parte alla Resistenza antifascista sui monti della Valtrompia e della Valsabbia, diventando vice-comandante di un gruppo della Brigata “Giacomo Perlasca” delle Fiamme Verdi, accettando consapevolmente i rischi di quella scelta: furono incarcerati i genitori, deportati la sorella Giacomina e il fratello Federico (ucciso in un lager). 

Nel febbraio del 1945, durante un rastrellamento operato dai militi fascisti della Guardia nazionale repubblicana, Rinaldini fu catturato nel paese di Odeno e condotto a Idro, torturato e poi riportato in montagna per essere indotto – invano – alla delazione. Sulla via che da Belprato riconduceva a valle, oltre la chiesetta di San Bernardo, senza processo e senza condanna, fu freddato con una raffica di colpi alle spalle: aveva da poco compiuto ventitré anni. 

Il cammino che lo condusse dalla scelta personale di ribellione al nazifascismo all’ingresso nel movimento collettivo di Resistenza è tracciato nel suo diario, uno scritto di profonda intensità spirituale (Il Sigillo del sangue). Da quelle pagine emergono l’esigenza dell’educazione del carattere e della volontà, l’impegno per il perfezionamento interiore alla luce del Vangelo: elementi che lo portarono ad agire nella speranza di far nascere, dalle macerie della guerra e dalle ceneri dei totalitarismi, una società più cristiana e più giusta. Per quel giovane “ribelle per amore”, la scelta di prendere le armi fu dolorosa e sofferta, ma vissuta come risposta a un imperativo morale, che imponeva alle coscienze di scegliere tra due opposte e inconciliabili concezioni del mondo, nella consapevolezza che si stesse combattendo una “guerra di civiltà”, per porre fine a un’epoca di barbarie. La breve esistenza del maestro Emiliano Rinaldini, culminata nel sacrificio della vita, rappresenta un richiamo all’assunzione di responsabilità di fronte ai fatti tragici della Storia, un invito a compiere ciascuno la propria parte, a conoscere il proprio tempo e ad agire per renderlo migliore, in nome degli ideali per i quali quel giovane accettò il rischio di morire: la libertà, la solidarietà e, soprattutto, la giustizia sociale, senza la quale nessuna pace è davvero possibile.

Daria Gabusidocente di Storia dell’educazione – Università Cattolica del Sacro Cuore.