Una pandemia di sentimenti

Quando tempo fa ho proposto ad amici, conoscenti e colleghi di raccontare la loro pandemia: non avevo idea di ciò che avrebbe suscitato.

L’invito era semplice:
“Saresti interessato/a a partecipare a un gruppo in cui le persone scrivono la loro
quarantena?”

Sorprendentemente sono arrivate tante storie e frammenti di vite, che raccontavano coralmente un tempo assediato ma anche intenso e importante. Ripercorrendoli pare di ritrovare nello scritto di un altro, anche la propria voce; di riconoscerla, incontrarla, sfiorarla. Come se le parole di uno fossero diventate quelle di tutti. Le pagine di questi diari rivelano un alfabeto di emozioni che prendendo voce dalle nostre case, attraversano giardini, orti, balconi, cucine, finestre, notti, albe, corsie d’ospedali, tavole imbandite, giorni sospesi, cari da vegliare da lontano. Da molti affiora nonostante la drammaticità del momento, l’urgenza di conferire senso al vissuto e provare a fare ciò a cui pure Italo Calvino invitava: ‘cercare nell’inferno, ciò che inferno non è’ per trasformare la pandemia in un’esperienza di umanità resistente.

Eccone alcuni:

SCORAMENTI. Di fronte alle avversità e la crisi, il coraggio di vivere viene
meno, ci si sente attoniti, feriti, disorientati. Porre attenzione ai dettagli
quotidiani prima scontati, risveglia però sentimenti sopiti, ci risveglia.

Da un primo disorientamento e senso di inutilità ho avuto la fortuna, fin dal principio di seguire
brevi meditazioni giornaliere accompagnata dalla musicalità della voce di Chopra. La stanza
ristretta, lo sguardo impaziente oltre confine, inquadrano ogni giorno alla stessa ora la mia
finestra. Anna

Dicono che non apriranno le frontiere fino all’anno prossimo. Questo mi fa sentire claustrofobica,
io che claustrofobica non sono. Però oggi che scrivo il cielo
è azzurro ed il sole caldo. Domani vediamo. Meggy

NUTRI-MENTI.
Nutrirsi che azione semplice e ordinaria! In questo tempo sembra assuma una speciale valenza
simbolica e interiore che rende ogni alimento condito di gratitudine per le mani che lo preparano.
Stamattina mi sono svegliata decisamente presto, ho iniziato a cucinare mentre ancora bevevo il caffè.
Ho cercato le zucchine in terrazza, quattro, belle, sode, verdi; il rosmarino, nel vaso, con i fiori azzurri,
l’ho tagliato con le mani, non avevo tempo di cercare le forbici, l’ho spezzato dove i rami si toccano.
Un sacrilegio. Chiara

Mi sono ritrovata a impastarlo ogni mattina, è diventato un rituale, uno di quelli che in questo periodo
ti fanno stare con i piedi per terra, ti permettono di non perderti troppo… il pane e le mani in pasta. Marcella

PAROLE CHE (S)MUOVONO.
Racchiuse in parole che sembrano ferme se ne annidano altre che ridanno movimento e vigore, trovarle è una rivelazione.
Il gioco consiste nel cercare, nel vederne nascoste alcune in altre, rannicchiate, potenti, resistenti, gloriose.
Non è straordinaria questa scoperta che ci fa costruire un nuovo linguaggio, un nuovo senso? Io la trovo illuminante.
Nella parola quarantena c’è l’imperativo “ara”, scava, cerca, semina, cura. Chiara

APPRENDIMENTI.
Cosa stiamo imparando? Cosa è imparare? Si può imparare dalla pandemia?
Sarà che la quarantena non l’ho amata dal primo momento. Non avevo bisogno di questo lutto
globale per imparare lezioni che avevo già voluto imparare: il valore del riposo e degli affetti,
l’importanza di vivere in modo sobrio e sostenibile. Né credo che tutto ciò ci renderà meno
disuguali e migliori. Franco

La casa diventa scuola e albergo. Il tavolo della cucina si trasforma x metà in terza primaria e per
l’altra metà in quinta, nelle camere dei ragazzi grandi e piccoli c’è un interrogazione di biologia per
Mariam e verifica di matematica per Noè! Alessandra

 

Con una punta di pessimismo, la percezione è che il cambiamento tanto auspicato sia per ora solo paralisi, in attesa che tutto riparta più o meno come prima. I buoni propositi del 2020 rischiano di essere dimenticati se non ci convinciamo una volta per tutte che proprio ora è il momento per aprire la pista della sostenibilità, oltre
che ambientale, anche sociale. È da qui che possono concretizzarsi quei cambiamenti tanto auspicati: un’economia al servizio della società e non viceversa, un’impresa che lavora non soltanto per il benessere dell’azionista, ma per il benessere della comunità in cui si trova, un assetto istituzionale che assicura a tutti, a prescindere dalle loro condizioni, i medesimi livelli di protezione.
Proprio ora è il momento del fare, di un fare pensato.