A oltre 50 anni dalla pubblicazione di “Lettera a una professoressa” (1967) può essere utile cercare di tracciare un bilancio sul profondo e duraturo influsso che don Lorenzo Milani (1923-1967) ha esercitato sull’educazione e l’istruzione in Italia.

Non mi occupo qui delle sue idee, pure importanti, sulla non violenza, sull’obiezione di coscienza, sulla vocazione sacerdotale e l’azione pastorale. La Lettera si divide in due parti, la prima sulla scuola media (allora l’obbligo scolastico era fino ai 14 anni e la scuola media unica era stata istituita nel 1962) e la seconda sulle superiori, in specifico l’istituto magistrale.

Nella prima parte sono con coraggio sostenuti e difesi valori oggi diffusi e condivisi, ma allora seriamente negati: la battaglia contro l’abbandono scolastico e la selezione nella scuola dell’obbligo (allora in Italia oltre 450 mila ragazzi all’anno abbandonavano la scuola prima di arrivare all’esame di terza media, quasi
tutti provenienti da famiglie contadine), la critica all’eccessivo nozionismo, la centralità e l’importanza dell’insegnamento dell’educazione civica e della storia del ‘900, la critica all’insegnamento puramente grammaticale e letterario delle lingue straniere, il diritto delle bambine ad avere le stesse opportunità d’istruzione dei maschi (oggi ovvio, ma allora di fatto negato).

Molte di queste idee, allora quasi profetiche, sono diventate obiettivi del Sessantotto cattolico e dell’impegno dei cattolici democratici in politica e oggi, tradotte in leggi e normative, si sono in gran parte realizzate. Questi meriti di don Milani non vanno mai dimenticati e nessuno potrà mai negarli od oscurarli. Ma questi indubbi meriti non ci devono far cadere nella superficialità laudativa ed encomiastica e farci dimenticare le affermazioni molti discutibili sulla scuola superiore contenute nella seconda parte, con venature che appaiono superficiali, viziate – come nota Beppe Del Colle, editorialista di Famiglia Cristiana [citato da Mario Lancisi, Don Milani. Una vita, Piemme, Casale Monferrato 2007, p. 182] – da un eccesso illuministico alla Rousseau (l’uomo nasce buono e intelligente, è la società, cioè la scuola, che lo corrompe).

Don Milani vorrebbe eliminare dalle magistrali varie materie. Mi limito a due esempi, matematica e filosofia. Sulla prima: “La seconda materia sbagliata (oltre al latino) è matematica. Per insegnarla alle elementari basta sapere quella delle elementari. Chi ha fatto terza media ne ha tre anni di troppo. Nel programma delle magistrali si può dunque abolire. In quanto alla matematica superiore come parte della cultura generale si può provvedere in altro modo. Due o tre conferenze d’uno specialista che sappia dire a parole in che consiste.” e ancora: “Non è vero che occorra la laurea per insegnare matematica alle medie. È una bugia inventata
dalla casta che ha i figlioli laureati. È la cattedra dove si lavora meno. È quella in cui non occorre aggiornarsi. Basta ripetere per anni le stesse cretinate che sa ogni bravo ragazzino di terza media. La correzione dei compiti si fa in un quarto d’ora. Quelli che non son giusti son sbagliati.”

Sulla filosofia: “I filosofi studiati sul manuale diventan tutti odiosi. Sono troppi e hanno detto troppe cose. Il nostro professore non s’è mai schierato. Non s’è capito se gli vanno bene tutti o se non glie ne importa di nessuno. Io tra un professore indifferente e un maniaco preferisco il maniaco. Uno che abbia o un pensiero suo o un filosofo che gli va bene. Parli solo di quello, dica male degli altri, ce lo legga sull’originale per tre anni di seguito. Sortiremo di scuola convinti che la filosofia può riempire una vita.”

La psicologia e la pedagogia sono inutili. Scrive con ironia: “Alcuni propongono di esigere la laurea anche per chi insegna nelle elementari. Dicono che ormai pedagogia e psicologia son scienze. Vanno affrontate all’università.”

Vorrebbe poi istituire una fantomatica «Scuola di Servizio Sociale» dai 14 ai 18 anni: “Ci vanno quelli che hanno deciso di spendere la vita solo per gli altri. Con gli stessi studi si farebbe il prete, il maestro (per gli otto anni dell’obbligo), il sindacalista, l’uomo politico. Magari con un anno di specializzazione. […] La Scuola di Servizio Sociale potrebbe levarsi il gusto di mirare alto. Senza voti, senza registro, senza gioco, senza vacanze, senza debolezze verso il matrimonio o la carriera. Tutti i ragazzi indirizzati alla dedizione totale.”

La critica alla selezione, comprensibile per la scuola dell’obbligo, viene estesa a tutta l’istruzione: “Una scuola che seleziona distrugge la cultura. Ai poveri toglie il mezzo d’espressione. Ai ricchi toglie la conoscenza delle cose. […] La scuola selettiva è un peccato contro Dio e contro gli uomini”. Ammette però delle eccezioni: “per le patenti siate severi. Non vogliamo essere falciati per le strade. Lo stesso per il farmacista, per il medico, per l’ingegnere. Ma non bocciate l’autista perché non sa la matematica o il medico perché non sa i poeti. […] Siete sicuri che per fare un buon maestro sia indispensabile il latino? Forse non ci avete pensato.”

Paragonare la patente di guida alla laurea in medicina (se non per l’ovvio fatto che un medico impreparato può uccidere come un pessimo autista) lascia trasparire una visione puramente pragmatica, utilitaristica e superficiale della cultura. Siamo sicuri che la conoscenza del pensiero greco, della filosofia e una buon cultura di base non giovino anche alla professionalità di un buon medico? E poi un ragazzo decide di fare il medico o l’ingegnere a 19 anni, prima non è meglio che studi matematica, letteratura, filosofia e storia al liceo?

Quando poi queste idee confuse di don Milani sono diventate la bandiera della parte peggiore del Sessantotto (quella del sei politico, del “vogliamo tutto e lo vogliamo subito”) hanno provocato danni alla qualità della scuola per decenni fino a oggi, al punto da far dire al grande scrittore Sebastiano Vassalli
(1941-2015): “Attribuire […] tutte le cifre e tutti i mali della scuola dell’epoca all’odio delle classi privilegiate verso i poveri, alla perfidia degli insegnanti della scuola di Stato […] fu un atto di calcolata falsificazione della realtà e di violenta demagogia che l’eccitazione sociale e politica dei tempi non basta a giustificare. Di più: fu una mascalzonata, per cui migliaia di insegnanti seri e preparati, che avevano quest’unico torto, di voler continuare a fare il loro lavoro nonostante la paga misera, le attrezzature insufficienti, gli edifici scolastici cadenti, i doppi e i tripli turni nelle grandi città, si trovarono da un giorno all’altro segnati al dito e braccati dall’ira delle folle: erano loro, la causa di tutti i mali e di tutti i dissesti della scuola italiana! Loro che si ostinavano a insegnare l’algebra e l’Eneide, e che non capivano
che, per eliminare la differenza di classe, bastava promuovere tutti, indiscriminatamente!”
[«LaRepubblica», 30 giugno 1992].

Cioè, è proprio da don Milani che parte la falsa idea che per migliorare la scuola basti bocciare meno o non bocciare del tutto. La falsa idea che la severità nella scuola e la meritocrazia siano per sé un errore o un disvalore. Così come la falsa idea che le “nozioni” siano qualcosa di trascurabile, di superfluo, tanto bastano le capacità e le competenze. Tutto ciò ovviamente nulla toglie alla buona fede e alle buone intenzioni di don Lorenzo Milani.

Come ci ricorda papa Francesco “La sua inquietudine, però, non era frutto di ribellione ma di amore e di tenerezza per i suoi ragazzi, per quello che era il suo gregge, per il quale soffriva e combatteva, per donargli la dignità che talvolta veniva negata. La sua era un’inquietudine spirituale alimentata dall’amore per Cristo, per il Vangelo, per la Chiesa, per la società e per la scuola che sognava sempre più come un “ospedale da campo” per soccorrere i feriti, per recuperare gli emarginati e gli scartati”.
[Messaggio del 23 aprile 2017, in occasione della presentazione dell’opera omnia di don Milani].

 

Bibliografia essenziale
– Mario Lancisi, Don Milani. La vita, Piemme, Casale Monferrato 2007
– Mario Lancisi, La scuola di don Lorenzo Milani, Polistampa, Firenze 1997
– AA. VV., Don Lorenzo Milani, Atti del convegno di studi di Firenze, 18-20 aprile 1980, Tip.
Nazionale, Firenze 1981
– AA. VV., Don Lorenzo Milani tra Chiesa, cultura e società, Atti del convegno di studi Università
Cattolica di Milano, 9-10 marzo 1983, Vita e Pensiero, Milano 1984
– AA. VV., Don Lorenzo Milani. Il prete di Barbiana e le lotte dei lavoratori, Atti del convegno
nazionale di studio, Firenze, giugno 1987, Stab. Grafico Commerciale, Firenze 1989.
– D. Magrini, Don Lorenzo Milani. Trame sinistre all’ombra dell’altare, Civiltà, Brescia 1983
– R. Berardi, Lettera ad una professoressa. Un mito degli Anni sessanta, Shakespeare, Milano 1992
– U. De Vanna, Don Milani, un profeta con gli scarponi da montagna, Paoline, Milano 1992
– Valentino Rubetti, Don Milani in controluce, Armando, Roma 2017
– Erio Castellucci, Don Milani e il Concilio, EDB, Bologna 2019