“Buona vita”. Le due parole con le quali ti congedavi sempre a conclusione dei tuoi scritti privati. Un augurio semplice ma deciso, che lasciava al lettore la libertà di definirlo in proprio.

“Buona vita”. Sono anche le parole con cui ti sei congedato, nella nostra ultima chat. Hai scritto fino a che hai potuto. Ero tra i destinatari del tuo pensiero domenicale: parole in libertà, quasi sempre per condividere impressioni su un fatto della settimana. La nostra ultima conversazione è rimasta incompiuta: è mancata la tua risposta, altrimenti sempre premurosa e rassicurante. E mancherà a me, come a tanti, da adesso in poi.

Caro Angelo, hai vissuto una “buona vita” fatta di parole che hanno accompagnato negli anni migliaia di persone: parole mai scontate, ben soppesate, sempre consapevoli, talvolta pungenti e amabilmente impertinenti. Era interessante sentirti provocare amici di vecchia data su questioni politiche locali o vicende partitiche nazionali (penso alla redazione di Battaglie Sociali) e ascoltarti nella narrazione di aneddoti curiosi sulla vita passata della nostra Diocesi. Le tue parole hanno gettato ponti, anche quando manifestavano disappunto o indignazione, perché con quelle hai sempre cercato di fare intelligenza, stimolando il pensiero critico e favorendo il dibattito con i vicini e i lontani.

Caro Angelo, eri solito guardare alla “vita buona” di altri per indirizzare la tua. Penso a due donne (sì, perché eri anche un convinto sostenitore della forza al femminile): Etty Hillesum e Madre Giovanna Francesca. Fosti tu a farmele conoscere e apprezzare entrambe. La prima era una giovane ebrea olandese, morta ad Auschwitz, che trovò Dio durante la Shoah. La seconda era la fondatrice delle Missionarie Francescane del Verbo Incarnato; fu stretta collaboratrice di don Pierino Ferrari, ideatore della Fondazione Laudato sì, tuttora a sostegno delle persone bisognose e progetto nel quale tu stesso fosti coinvolto. Della prima mi regalasti “Il diario”, e mi invitasti a presentare i libri che avevi scritto sulla seconda e sul sacerdote bresciano da te ammirato.

Caro Angelo, in te convivevano due anime: l’essere un gentiluomo d’altri tempi e l’essere al passo con i nostri tempi, pur essendone un attento e critico osservatore. Uomo social, fino a quando ti sei reso conto che da lì non passa quasi mai la vita vera; uomo di realtà, sempre e comunque. I caffè in tua compagnia erano un piacevole confronto di prospettive, intimi momenti di informale condivisione, nella certezza di avere ascolto e opinioni schiette. Ricordo in particolare uno scambio di opinioni su uno scrittore non propriamente credente ma apprezzato da entrambi. Quando ti confidai che citarlo in alcuni ambienti cattolici veniva spesso percepito come inopportuno tu replicasti: «Non hanno ancora capito che essere cattolici non significa essere intelligenti e che non essere cattolici non significa essere stupidi». Lezione di stile. E di buona vita.

«Ho il dovere di vivere nel modo migliore e con la massima convinzione, sino all’ultimo respiro: allora il mio successore non dovrà più ricominciare tutto daccapo, e con tanta fatica». Sono parole di Etty, ma potrebbero essere le tue.

Chi ti ha conosciuto non dovrà iniziare tutto daccapo, non dovrà fare troppa fatica, perché tu sei sempre stato presente, come compagno di viaggio e guida, nell’amicizia, nel lavoro, nella fede.

E allora, caro Angelo, buona vita a te, ora luminosa e infinita.

 

Stefania Romano a nome di tutta la Redazione